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lettere al direttore

Più concorrenza significa meno corruzione e più efficienza

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ormai per poter realizzare le opere in Italia si ricorre ai commissariamenti, necessari per bypassare il Codice degli appalti che rende le procedure più farraginose in nome di trasparenza ed equità. E quasi sempre i commissari nominati sono o politici trombati o amministratori cui si danno pieni poteri. Quando l’allora ministro Gelmini decise di commissariare la realizzazione dei rigassificatori, fece l’errore di nominare i presidenti di regione. Che per forza di cose devono rispondere anche alla volontà degli elettori, e sono quindi più condizionati dalla loro pancia. Toti oltre che commissario del rigassificatore di Vado Ligure, era anche commissario straordinario per la mitigazione del rischio idrogeologico, e alla realizzazione dello scolmatore del Bisagno e della scuola politecnica di Erzelli. Anche l’Autorità portuale era commissariata, come lo sono quasi tutti i porti d’Italia per via dei lavori infiniti. Snellire il Codice degli appalti eviterebbe di avere norme anti corruzione rigidissime, che poi puntualmente vengono derogate tramite i commissariamenti e gli stati d’emergenza con la scusa della rapidità e urgenza. Come del resto è stato anche per il commissariamento Covid. E’ pur vero però che non si è mai vista una corruzione fatta con i bonifici e la dichiarazione dei redditi.
Annarita Digiorgio

I commissariamenti servono a risolvere problemi straordinari. E in alcuni casi sono preziosi e utili. Così è stato per l’Expo. Così è stato per il ponte Morandi. Il problema è quando i commissariamenti diventano eterni, diventano l’ordinario non lo straordinario, e quando dunque la politica rinuncia ad adottare l’unica strategia utile per combattere contemporaneamente la corruzione e la lentezza della burocrazia: combattere i monopoli creando occasioni per avere più concorrenza e dunque più efficienza. Leggetevi il professor Musso a pagina tre.


Al direttore - La dottrina della non-violenza ha ricevuto nel corso del tempo interpretazioni disparate. Ma di quale dottrina della non-violenza stiamo parlando? Il presbitero scrittore partigiano Primo Mazzolari diceva che non bisogna confondere la non-violenza con la non-resistenza (“Tu non uccidere”, 1955). Dal canto suo, Gandhi ha sempre distinto la non-violenza come convinzione (“non-violence as a creed”) dalla non-violenza come scelta tattica (“non-violence as a policy”). La prima è quella del forte (o “satyagraha”), che si basa sul rifiuto morale della violenza e che richiede audacia, abnegazione, disciplina e una fede profonda nella bontà della propria causa. La seconda è quella del debole (o resistenza passiva), a cui ricorre chi non si sente abbastanza risoluto da impugnare le armi. Quest’ultima, a sua volta, non va confusa con la non-violenza del codardo, frutto di pura vigliaccheria o di meschini interessi egoistici. Nonostante – scrive nella sua “Autobiografia” – “la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi essa è un atto di coraggio, di gran lunga migliore della codarda sottomissione” (AliRibelli Edizioni, 2019). In tal senso, la posizione del Mahatma, come ben sapeva il Marco Pannella che pure assunse come simbolo dei radicali italiani la sua effigie, non può essere identificata con il pacifismo assoluto di Lev Tolstoj e, li perdoni dall’oltretomba il grande romanziere russo, con quello dei suoi odierni umoristici epigoni domestici, a cui da ultimo si sono aggiunti – udite, udite – Gianni Alemanno e Marco Rizzo. “Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena” (William Shakespeare, “Come vi piace”, atto II, scena VII, 1599-1600). E’ vero, ma qui da noi si esagera con le controfigure.
Michele Magno


Al direttore - Il governo spagnolo, come riporta il Foglio, si dichiara contrario all’aggregazione di Bbva – che ha lanciato un’Opa ostile di 12 miliardi – con  Banco Sabadell. Quando lo stesso Bbva, molti anni fa, aveva tentato l’acquisizione della Bnl senza riuscirvi, reagì poi  in sede giudiziaria lamentando storture e presunte illegalità e incolpando personalità istituzionali,  imprenditori, uomini della finanza,  fino ad arrivare a una propria secca, totale sconfitta in Cassazione. Adesso che interviene il governo spagnolo, non proprio la regola in tali operazioni, non dice nulla, almeno così risulterebbe finora. Ricordo che all’epoca del progetto di Opa del Sanpaolo sulla Banca di Roma (poi Capitalia) Gianni Agnelli, in primis sostenitore del progetto, contattò – presidente D’Alema – Palazzo Chigi, ma ebbe la risposta che comunque di questa materia si occupava, nella sua autonomia, la Vigilanza della Banca d’Italia e il governo non poteva intervenire. Quanto al cosiddetto “risiko” bancario, è giusta l’implicita sollecitazione del Foglio a decidere in Italia per quelle parti del settore che potrebbero essere interessate a un consolidamento. Anche per prevenire interventi di banche non nazionali. 
Angelo De Mattia
 

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