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lettere al direttore

Alla fine, le coscienze si ribellano solo quando di mezzo c'è Israele

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - L’antisionismo è la dissimulazione disonesta dell’antisemitismo.
Michele Magno

“Anche nel democratico più liberale si può nascondere una sfumatura di antisemitismo: egli è ostile all’ebreo nella misura in cui questi osa pensarsi, appunto, ebreo”. (Jean-Paul Sartre)

 


 
Al direttore - Dura da molti mesi la tragedia immane che contrappone la disperazione israeliana a quella palestinese. E durano da molti mesi la protesta e la richiesta di pace che si levano dalla società civile e da ambienti politici e universitari. Non sempre con equilibrio e non sempre con equidistante senso storico. Inutile chiedersi perché i morti di Gaza suscitino comprensibile empatia, ma lo stesso non accada per i massacrati del 7 ottobre. L’uso dell’empatia dipende da molti fattori, fra i quali, oltre a quello dei numeri, quello della propaganda e dei finanziamenti occulti che la sostengono. Il conflitto israelo/palestinese è l’unico spaventoso e sanguinoso conflitto del nostro tempo a cui sia dedicata l’attenzione di cui siamo testimoni. Numeri assai maggiori di vittime in altre parti del mondo cadono nella più assoluta indifferenza. Per quale strano motivo? Non si sta chiedendo indifferenza per Gaza. Ci si chiede invece perché le università vengano occupate per chiedere pace e giustizia solo nel caso in questione. Al di là delle cifre, i 100 mila morti in Bosnia, i due milioni di morti in Cambogia, il milione di morti in Ruanda, i 600 mila morti in Siria, i 30 mila di Mariupol, i 600 mila nel Tigrai non hanno sortito lo stesso effetto e non hanno spinto alla stessa sentita ribellione delle coscienze. Quali differenze e quali minori diritti stiamo riconoscendo a quelle popolazioni e a quei morti? O, forse, quale maggiore attenzione merita il medio oriente, e quale miracolo sta attraendo su quel quadrante geopolitico l’attenzione e la sensibilità del mondo? E forse bisogna anche chiedersi perché, di tutti i conflitti del mondo che non suscitano il nostro interesse, solo questo conflitto trasformi inspiegabilmente la condanna per la politica di un governo in odio per tutto quello stato e in negazione del suo diritto all’esistenza, e poi, con passaggio altrettanto misterioso, in odio per tutti gli ebrei del mondo. Anche nel cortile di Ca’ Foscari giovani studenti, innocenti, prendono il microfono per diffondere superficiali verità e profondo odio. L’urlo che si leva dall’altoparlante invoca la libertà della Palestina “dal fiume al mare”, che significa eliminazione di un intero popolo, secondo l’ideale stragista di Hamas. Ma forse non lo sanno. Perché ovviamente l’invocazione non riguarda cristiani e musulmani, ma solo gli ebrei. La richiesta di libertà per un popolo diventa curiosamente richiesta di sterminio per l’altro. La condanna di Israele – da parte di chi non si preoccupa di conoscerne la storia – si mescola alla richiesta ingenua di “emancipazione per la donna palestinese”, come se quel diritto dipendesse da Israele e non invece dalla società palestinese stessa, condizionata da Hamas.  L’odio si diffonde per percorsi tutti suoi, veri o falsi che siano. Qualche social del Lido dà spazio a falsi storici antisemiti vomitati alla pubblica conoscenza e cancella le rare contestazioni che cercano di ristabilire una più credibile verità. Poi all’improvviso, con effetto scioccante, appare la lunga scritta antisemita che minaccia lo “sgozzamento” degli ebrei casa per casa, bambini compresi. Un linguaggio che rimanda a rituali disumani messi in atto altrove da un ben noto fondamentalismo islamico. Un tremore di vene ai polsi fa temere la degenerazione della vita sociale che nessun allarme potrà evitare e nessun provvedimento potrà invertire. Abbiamo già più volte richiamato al senso di responsabilità delle classi politiche e culturali, affinché gli insegnanti ritornino al loro ruolo di educatori ispirati dalla coscienza etica, politica e sociale, nelle scuole e nelle università. Affinché si smettano gli abiti dell’indottrinamento e della costruzione del nemico. La politica e la cultura hanno la responsabilità di quanto sta accadendo. Non serviranno le lettere di condoglianze. Servono invece maestri illuminati e coscienziosi, che costruiscano ponti di dialogo e non scavino trincee da cui l’uno spari contro l’altro. Capri espiatori ne abbiamo già avuti abbastanza nella nostra storia. Prima che sia troppo tardi.

Dario Calimani, presidente della Comunità ebraica di Venezia

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