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Lettere

Molti errori ma anche tante virtù in comune tra Israele e Ucraina

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nell’indagine su Giovanni Toti c’è un aspetto che a mio avviso batte tutti i record dell’assurdo di una giustizia inquirente “deviata”: non portare con sé i cellulari durante una riunione viene considerato un indizio a conferma di una trama di corruttela in corso. In sostanza, se si teme di essere intercettati si deve collaborare. Chi si sottrae non può che essere in malafede. Eppure, anche un notissimo pm, membro del Csm, quando doveva parlare di questioni delicate con un’altra persona, la invitava nell’androne delle scale dopo aver lasciato il cellulare in ufficio.
Giuliano Cazzola

E che giustizia è quella che arresta un imputato perché potrebbe reiterare il reato in vista di nuove elezioni, le europee, alle quali non partecipa, mentre crea un clima mediatico all’interno del quale all’imputato viene suggerito di dimettersi per poter tornare in libertà?

 



Al direttore - Molta parte delle letture di questi ultimi giorni sul reimpatrio di Enrico Forti in Italia mi hanno fatto pensare all’idea del filosofo Blaise Pascal secondo cui “corriamo spensieratamente verso l’abisso, non prima di aver messo qualcosa tra noi e lui per impedirci di vederlo”. I tanti “haters” – odiatori di professione che hanno sul web la loro zona libera di espressione – hanno inondato il mondo con l’idea che un conclamato assassino non avesse dignità di ritorno e, soprattutto, non avesse il diritto di essere accolto calorosamente a ragione delle sue colpe. Questa idea, che parla alla pancia dei tanti ascoltatori, tradisce il senso complessivo della drammatica vicenda umana. Cosa ancor più grave, nasconde sotto il tappeto della morale provvisoria i tanti (e taglienti) frammenti di una storia in cui l’idea di Giustizia si è del tutto fracassata. Il problema, infatti, non è quello se Forti sia colpevole o innocente. Per gli Stati Uniti d’America lo è come lo è per l’Italia che, solo un mese fa, ha riconosciuto per l’esecuzione la sentenza straniera. Gli odiatori si arrendano a questa evidenza che nessuno – neppure il Forti – può contestare. Detto questo, sorge la domanda: “La circostanza che il Forti abbia commesso il crimine per il quale è stato giudicato, condannato e ha espiato quasi 25 anni di dura galera ci impedisce di capire se quel processo ha avuto canoni di giustizia secondo le regole vigenti nel nostro sistema?”. Qualcuno di voi potrebbe affermare che la risposta a questa domanda è stata già data dai giudici di Trento che hanno validato la “sentenza” straniera. Ecco ai vostri occhi – gentili odiatori di professione – la prima stranezza di questa incredibile vicenda. In realtà, una sentenza vera e propria semplicemente non esiste. Ciò che esiste è il verdetto che non ha alcuna motivazione. In altre parole, è impossibile sapere quali e quanti motivi dell’accusa hanno determinato i giudici alla condanna e perché mai gli elementi prodotti dalla difesa non hanno in nulla scalfito il ragionevole dubbio sulla colpevolezza. Gentili odiatori, potete spiegarmi come è possibile formulare un appello su un giudizio che non ha motivazione? Anche in questo caso vale la regola che il poeta Goethe indicò alla ragione degli umani e che questi ultimi non riescono a seguire per indifferenza e ignoranza: l’occhio vede ciò che la mente conosce. Se non gli odiatori – accecati dal loro stesso fiele – almeno gli uomini di ragione e di professione dovrebbero aprire i loro occhi…
Lorenzo Matassa, magistrato, autore del libro “Chi ha incastrato Chico Forti?”


Al direttore - L’equivalenza Ucraina-Israele che ha fatto sul Foglio di tre giorni fa, anche se, debbo dire “a effetto”, non mi convince: considerando la crudeltà (solo oggi 32 morti civili a Gaza, in tutto più di 35.000 in tre mesi) e la  proporzione rispetto alla popolazione del territorio danneggiato (quasi completamente), mi convincerebbe più il paragone Gaza-Ucraina. Israele è passato da vittima a carnefice. L’antisemitismo non si è risvegliato il 7 ottobre ma dopo, quando è apparsa la violenza e la sproporzionata e indiscriminata reazione del binomio Netanyahu-Gallant, che ha cercato terroristi nelle ambulanze e ha finito per far passare dalla parte del torto un paese democratico che aveva sacrosante ragioni per reagire. Le reazioni, mirate, dovevano interessare però i capi di Hamas e i terroristi, senza fare di ogni erba un fascio considerando terroristi tutti; così agendo dei terroristi-criminali sono divenuti emblema e vessilli delle università del mondo intero estendendo in tal modo le ragioni palestinesi (“free Palestine now”) con lo stesso metro usato da Israele-Netanyahu (Hamas=palestinesi). L’Onu, il Papa e Biden le hanno così recepite e Israele si è isolato, anche se Netanyahu dice che la Corte di giustizia dell’Aia non ha alcuna influenza: se l’Aia può giudicare Putin non si vede perché non possa giudicare lui. O si difendono i palestinesi e gli ucraini o si difendono russi e israeliani; non si può essere contro gli eccessi dei russi in Ucraina senza esserlo per gli eccessi peggiori di Israele contro i palestinesi. Se su 10 bambini di Gaza uccisi ne sopravvive uno, questo da grande sarà di Hamas; in più si monta una reazione anti Israele anche in chi detesta Hamas. Per vendicarsi su Hamas in modo così crudele e indiscriminato Netanyahu indebolisce se stesso in Israele, le sue vitali alleanze in occidente e forse tutto l’occidente. Un cordiale saluto.
Nicola Carretti

Israele e Ucraina commettono entrambi molti errori ma hanno diversi punti in comune, che provo a ricordarle: difendono i confini delle nostre democrazie, combattono contro regimi sanguinari, hanno spesso gli stessi nemici, usano i militari per difendere i civili, e non viceversa, e cercano di difendersi da due entità, Putin e Hamas, che in guerra si comportano come i peggiori terroristi del mondo. La saluto offrendole le parole sagge usate da Zelensky dopo l’attacco dell’Iran a Israele: “Le azioni dell’Iran minacciano l’intera regione e il mondo, proprio come le azioni della Russia minacciano un conflitto più ampio, e l’ovvia collaborazione tra i due regimi nella diffusione del terrore deve affrontare una risposta risoluta e unita da parte del mondo”.