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L'Europa ci guarda: il punto non è il caso Contrada ma il caso Italia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - C’è un paese che si sente Europa. E’ un paese che sta nel Caucaso, ha un alfabeto affascinante e da quasi 40 giorni è attraversato da manifestazioni oceaniche. E’ la Georgia, dove 300 mila persone (su una popolazione di 3,5 milioni) sono scese in piazza contro la legge che bolla le organizzazioni della società civile come agenti stranieri. Una legge copiata dalla famigerata legge russa che ha permesso a Putin di cancellare la società civile dissidente. Mentre Macron e Scholz hanno vergato una dichiarazione dai toni molto allarmati, mentre i vertici europei hanno chiarito che l’approvazione della legge avrà un impatto negativo sul cammino della Georgia verso l’Ue, mentre alcuni ministri degli Esteri dei paesi membri hanno preso parte alle proteste, la presidente del Consiglio italiana tace. Non è che Meloni non sappia quel che accade lì. Il Parlamento italiano, sostenuto dal ministro Tajani, ha voluto essere in Georgia: con Deborah Bergamini e Giangiacomo Calovini siamo tornati da una missione che ci ha permesso di raccogliere testimonianze di intimidazioni e violenze ai danni della società civile e dell’opposizione e di confrontarci con la presidente della Repubblica Salomé Zourabichvili sulle preoccupazioni rispetto al percorso europeo della Georgia. Se la legge dovesse essere approvata in via definitiva, con uno strappo che supera il veto opposto dalla presidente della Repubblica; se le proteste in piazza dovessero aumentare, e con loro i soprusi dei corpi speciali contro i dimostranti; se la campagna elettorale diventasse violenta, la presidente Meloni non potrebbe continuare a tacere. L’Italia è un paese fondatore dell’Unione europea: non può restare silente e indifferente di fronte a centinaia di migliaia di persone che ne riconoscono il valore e i valori, e che vogliono farne parte.
Lia Quartapelle, parlamentare del Pd

Io sono Georgia!


Al direttore - Appena pochi mesi fa la Cassazione ha messo la parola fine al noto processo sulla fantomatica trattativa stato-mafia. E’ invece di questi giorni la notizia riguardante le accuse formulate dalla procura di Firenze nei confronti del generale Mori per le stragi mafiose del 1993. Circa due anni fa si era invece appreso di una sentenza di condanna, pronunciata dal tribunale di Palermo con rito abbreviato, nella quale Bruno Contrada veniva “collegato” all’omicidio mafioso del poliziotto Nino Agostino. E proprio ieri, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stigmatizzato le intercettazioni telefoniche all’epoca disposte nei suoi confronti in assenza di effettivi motivi di sospetto e senza alcuna successiva comunicazione degli invasivi accertamenti in tal modo effettuati. Possibile che a distanza di oltre trent’anni il grande totem della lotta alla mafia continui a produrre tutto questo?
Francesco Compagna


 Il punto, come si capisce, non è il caso Contrada ma è il caso Italia. Aprire gli occhi prima che sia troppo tardi. 


Al direttore - In un mondo impazzito che cerca di trasformare in carnefice uno stato come Israele, vittima di una aggressione brutale e inaudita, non mi sembra di assistere a manifestazioni di protesta studentesca per il trattamento bestiale cui sono sottoposti dei prigionieri ebrei, in palese violazione della Convenzione di Ginevra. Che impone il rispetto della vita e dell’incolumità fisica e psichica di chi si trova in balìa di una delle parti in conflitto; obbliga a trattare con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle Forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa; prevede la protezione da atti di violenza e dall’arbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato. Convenzione di cui Hamas si fa beffa, con il sostegno di milioni di persone prive di umanità e vergogna. Con i migliori saluti.
Roberto Alatri


Al direttore - Come viene riportato negli articoli e nelle interviste del Foglio, ormai pure i “falchi” tedeschi del Consiglio direttivo della Bce sono favorevoli a un taglio dei tassi di interesse di riferimento di cui si discuterà il prossimo 6 giugno. Essi, però, pongono subito ostacoli a successive riduzioni che, invece, se si confermerà l’andamento dell’inflazione, come appare probabile, potrebbero essere doverose, a maggior ragione se il taglio di giugno sarà di soli 25 punti base e non di 50, come sarebbe opportuno per una decisione che non persegua solo un “effetto-annuncio”, ma intenda determinare il sicuro avvio dell’allentamento della politica restrittiva. Il fatto è che permangono i canoni che la presidente Christine Lagarde ripete continuamente: le decisioni si adottano riunione per riunione e in base ai dati. Si è rinunciato alla “forward guidance” e a una necessaria strategia; l’azione di anticipo e l’incidere sulle aspettative dovrebbero essere, invece, alla base del governo della moneta, come dimostra l’intera storia post bellica della Banca d’Italia con i successi della relativa politica. E’ a questo livello che bisogna portare il confronto dialettico per una revisione vera della politica monetaria, non come quella rapidamente effettuata circa due anni fa.
Angelo De Mattia
 

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