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Il Papa si scusa in una delle note più spassose nella storia della Chiesa

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nel settembre del 2018 i rettori delle università italiane riuniti a San Rossore vollero commemorare tutti la pagina più nera della moderna storia italiana. Ci sarebbe da chiedersi come mai i rettori nel loro insieme abbiano atteso così a lungo, ottanta anni, per compiere un gesto così importante. Il giorno della memoria esisteva da due decenni. Possibile che ci siano voluti così tanti anni?  Le università italiane hanno chiesto scusa  quando  i testimoni di quella immane tragedia erano già scomparsi. Le leggi del 1938  furono per chi le subì una catastrofe personale e famigliare. Per le università italiane fu un suicidio programmato e l’inizio di un declino irreversibile. A parte un breve periodo, a gestire il rientro di chi avendone il diritto aveva fatto richiesta di reintegro, furono in molti casi coloro che avevano attivamente partecipato con i loro scritti alla demonizzazione degli ebrei, o ne avevano preso indebitamente il posto. Chiedere ufficialmente scusa, per quanto in ritardo, è stato importante. Ma la elaborazione di un  trauma collettivo, per produrre effetti reali e duraturi nel tempo, ha bisogno di essere accompagnata da pratiche condivise che la rendano possibile. Sulla scia dell’eco suscitata dalla commemorazione del 2018, il rettore dell’Università di Pisa, Paolo Mancarella,  dichiarò che il Senato del suo ateneo aveva positivamente  accolto la definizione Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) di antisemitismo. La decisione non fu purtroppo seguita  dagli altri atenei perdendo valore anche all’interno del suo. Eppure nel frattempo il governo Draghi dopo avere istituito una commissione di studio sulla definizione Ihra, coordinata dalla prof.ssa Santerini, e di cui ho fatto parte, ha adottato delle linee guida sull’antisemitismo ispirate alla definizione Ihra. Le linee guida non sono state adottate dalle università. Eppure di fronte alle gravi manifestazioni di intolleranza antisemita, avrebbero potuto costituire un adeguato  argine culturale per affrontare il problema.  Non si tratta di hard law, ma di soft law, di indicazioni che nel rispetto della libertà di pensiero  e di ricerca  rendano possibile un clima universitario di convivenza, di rispetto e di rifiuto di ogni forma di intolleranza nella prospettiva di una composizione politica dei conflitti che lacerano il vicino oriente.  La domanda che rivolgo direttamente alla prof.ssa Giovanna Iannantuoni, presidente della Crui è: “Per quale motivo  le linee guida approvate dal governo Draghi e che sono un riferimento per le direzioni scolastiche regionali non sono state incorporate nei regolamenti universitari?”.   Il comune di Brescia alcuni mesi fa ha avuto il coraggio di affrontare il problema e dopo un serrato dibattito, in cui sono state invitate voci diverse, lo ha fatto, indicando un percorso virtuoso e bipartisan.  Possibile che le università non siano in grado di aprire una riflessione seria sul problema. Eppure gli strumenti e le conoscenze non mancano. Se non fosse per le implicazioni tragiche, verrebbe da ridere amaramente all’idea che appena cinque anni dopo la commemorazione di San Rossore, per opporsi alle derive antisemite del boicottaggio accademico,   in molti si trovino costretti a sottolineare le conseguenze negative e potenzialmente devastanti e non che è un male in sé che ha come sfondo la deumanizzazione  dell’altro. Utile sul piano dell’argomentazione politica, l’affermazione è il segno di quanta strada ha fatto il pregiudizio. La demonizzazione di Israele, a cui l’Assemblea delle Nazioni Unite dette man forte nel 1975 equiparando sionismo e razzismo (salvo poi annullare tale mozione dopo gli accordi di Oslo), ha lo scopo opposto. Serve a delegittimare l’esistenza morale di Israele isolandolo e trasformandolo in uno stato paria.  In questa perversa logica lo stato degli ebrei diventa l’Ebreo degli stati, giudicato non per quello che fa, ma per un presunto “peccato originale” da cui potrebbe “liberarsi” cessando di esistere. L’antisemitismo ha molte facce. Analogamente a quanto accadeva un tempo con la richiesta agli ebrei di convertirsi per “liberarsi” da una “colpa” ontologica, che si trasmetteva da una generazione all’altra, l’antisemitismo si manifesta oggi con la richiesta agli ebrei di rompere ogni legame di solidarietà con Israele. Di fatto una richiesta di suicidio morale. Le analogie con alcune pratiche religiose persecutorie del passato, hanno un che di inquietante. Declinandosi come “antisionisti” gli ebrei otterrebbero in cambio l’illusione di essere  “redenti” da una “colpa originaria”. Va da sé che non è qui in discussione il diritto al dissenso e alla critica di questo o di quel governo israeliano, come di ogni altro paese. Il diritto dovere alla critica è il sale della democrazia e in Israele, unica democrazia della regione, è ampiamente esercitato.  Il fatto di doverlo ogni volta ripetere è il segno di quanta strada ha fatto il pregiudizio e quanto irto di ostacoli sia il percorso per una possibile composizione politica di un conflitto tragico che si trascina da oltre un secolo. Sono in discussione la forma che assume la critica, il doppio standard, la demonizzazione e la delegittimazione che fanno da sfondo a un antisemitismo che ha riscoperto una falsa innocenza perduta declinandosi falsamente come “antirazzismo” e “anticolonialismo”. 
David Meghnagi



Al direttore - Bergoglio e pregiudizio.
Michele Magno

Il Papa, ha detto ieri la Santa Sede in una delle note più spassose della storia della Chiesa, forse del mondo, “non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri”. Troppa altraggine?


Al direttore - Insignito di onorificenza fascista Ettore Petrolini rispose con insuperabile umorismo: “Me ne fregio”. Giorgia Meloni, ricordando il precedente e torcendolo un po’ a proprio vantaggio, si apre così a due strade. Se sconfitta al referendum “me ne frego”, se vincente “me ne fregio”.
Giuseppe De Filippi

Con De Luca, intanto, non se ne è fregata. Troppa stronzaggine?


Al direttore - Scrive Dacia Maraini, sul Corriere della Sera, che “il comunismo, da grande ideale di uguaglianza e libertà, era diventato con Stalin un ottuso e violento capitalismo di stato”. Non fosse stato per quel furbacchione del georgiano, che piegò il comunismo alle esigenze capitalistiche, seppur statali, in Russia, Cina, Cuba, Cambogia, Jugoslavia, Corea del nord, Vietnam e così via, avremmo avuto, dunque, una sorta di paradiso in terra. Che razza di sfiga.

Luca Rocca

Troppa benaltraggine?


Al direttore - Nell’indagine sulla corruzione in Liguria assistiamo a un salto di qualità nella tecnologia di cui si sono avvalse fino a ora le procure. Si è passati dall’artigianato del “teorema” (consistente in una spy story scritta dal magistrato inquirente e corredata di qualche frase tra virgolette desunta dalle intercettazioni) alla sofisticazione dell’algoritmo ovvero di una successione di istruzioni o passi che definiscono le operazioni da eseguire per poter sbattere il malcapitato in prima pagina.
Giuliano Cazzola

Troppa cialtronaggine?

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