(foto Ansa)

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Matteotti e la crisi della rappresentanza. Il ricordo di Violante

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il 21 novembre del 1920 le squadracce fasciste diedero l’assalto a Palazzo d’Accursio, a Bologna, per impedire l’insediamento di una maggioranza socialista che aveva vinto le elezioni. Più di un secolo dopo, la sede del comune di quella che fu la capitale del comunismo d’occidente si consegna ai terroristi di Hamas. Il sindaco Matteo Lepore in persona ne espone la bandiera dal balcone dello storico palazzo.
Giuliano Cazzola

Bologna è importante, e in questo caso deprimente. Meno deprimente invece è ciò che si è sentito ieri alla Camera per commemorare i cento anni dall’omicidio di Giacomo Matteotti. Qui di seguito un passaggio del magnifico discorso fatto ieri alla Camera da Luciano Violante. Perfetto. “Essere oggi in quest’Aula non è sentito da nessuno di noi come un fatto formale. Perché qui Matteotti pronunciò le parole che lo avrebbero portato a morire e perché da ogni sua parola traspare il convincimento profondo del valore costituzionale del Parlamento. Il suo coraggio sta non solo nella forza della denuncia, ma anche nel sottolineare, ogni volta che sia possibile, il rapporto che intercorre tra l’attività di opposizione e la presenza in Parlamento. A noi si pone una domanda. Questo Parlamento, quello nel quale oggi noi siamo, è quello che Matteotti pensava dovesse essere? Fuori dei casi dell’avvento di dittature, i parlamenti muoiono per suicidio, non per omicidio. Muoiono quando cessano di essere consapevoli della loro ragion d’essere, quando diventa loro estranea la ragione politica intorno alla quale si sono costituiti. Il nucleo dei parlamenti è la rappresentanza della nazione: lo stabiliva l’art. 41 dello Statuto Albertino e lo stabilisce in termini simili l’art. 67 della Costituzione. Ma l’attuale frammentazione sociale, i corporativismi che ne derivano, insieme a una legge elettorale del tutto inidonea, rendono difficile per un parlamentare svolgere la propria funzione di rappresentante della nazione. E’ in corso, inoltre, per effetto della interconnessione delle diverse tecnologie digitali, un cambiamento d’epoca. Le nostre società, la nostra antropologia, il nostro modo di stare al mondo sono profondamente cambiati. Frantumazione sociale e cambiamento d’epoca rendono più profonda la separazione tra Parlamento e paese. Per il parlamentare diventa quindi difficile presentarsi ai cittadini come loro rappresentante; diventa più conforme allo stato delle cose presentarsi come uno simile a loro, legittimato ad avere il loro consenso perché a loro somigliante nel costume complessivamente tenuto. Questo politico non dice ‘sceglimi perché io ti rappresento’; dice ‘sceglimi perché io ti somiglio’. La somiglianza è cosa diversa dalla rappresentanza. Costituisce un ragionevole tentativo di superare la distanza che intercorre tra il cittadino e il Parlamento. Ma è una vicinanza transitoria, che dura pochi attimi perché poi ciascuno prenderà la propria strada e quella del parlamentare sarà probabilmente diversa da quella del cittadino. La somiglianza è limitata; non risolve le difficoltà del Parlamento perché si limita a riflettere bisogni singoli esasperando le polarizzazioni che già esistono nella società (…). I parlamenti non possono ridursi a ‘clasa discutidora’, secondo la definizione di Donoso Cortés. Non possono solo dibattere, alla fine devono decidere. La rappresentanza parlamentare non è un evento teatrale; è una sintesi politica che deve necessariamente portare a una decisione politica. La democrazia o è decidente, capace di decidere non solo di rappresentare, oppure si riduce a un gioco di specchi. La crisi che portò al fascismo e all’omicidio di Giacomo Matteotti fu anche e soprattutto una crisi di decisione delle vecchie classi dirigenti. Proprio la sua tragica storia, che oggi ricordiamo, ci insegna che le democrazie incapaci di decidere aprono i cancelli dell’autoritarismo”.

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