Lettere
La pace, e il modo più semplice per far finire la guerra a Gaza
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Vista la vittoria ormai chiara della propaganda di Hamas, che un giorno sarà oggetto di studio come quella nazista, le chiedo se non ci sia un problema di terminologia che possa creare fascinazione nelle giovani generazioni. Chiamare terroristi quei criminali forse rimanda a un’accezione romantica. Chiamiamoli assassini, squartatori, violentatori, pedofili, imbecilli. Forse nessuno vorrà riconoscervisi.
Enrico Cerchione
Il fine – dice una frase attribuita a Machiavelli – giustifica i mezzi. Vale anche quando si parla di terrorismo jihadista: se il fine è alimentare l’odio contro Israele, non delegittimare ciò che fanno i terroristi non è altro che un mezzo per raggiungere il proprio obiettivo. Eppure, come ha detto martedì il senatore democratico John Fetterman a Fox, “per far finire la guerra il più in fretta possibile si dovrebbe protestare contro Hamas, si dovrebbe chiedere il cessate il fuoco a Hamas, si dovrebbe chiedere semplicemente a Hamas di rimandare tutti gli ostaggi a casa, sarebbe il modo più semplice per far finire la guerra”.
Al direttore - Vedo che Orbán e il M5s hanno lo stesso slogan elettorale in vista delle europee: pace. Quando si dice avere la faccia come Putin.
Lucia Marini
“Una cosa però è certa: il precetto della pace è di diritto divino. Il suo fine è la protezione dei beni dell’umanità, in quanto beni del Creatore. Ora, fra questi beni alcuni sono di tanta importanza per l’umana convivenza, che la loro difesa contro l’ingiusta aggressione è senza dubbio pienamente legittima. A questa difesa è tenuta anche la solidarietà delle nazioni, che ha il dovere di non lasciare abbandonato il popolo aggredito. La sicurezza, che tale dovere non rimarrà inadempiuto, servirà a scoraggiare l’aggressore e quindi a evitare la guerra, o almeno, nella peggiore ipotesi, ad abbreviarne le sofferenze”. (Pio XII, messaggio natalizio del 1948)
Al direttore - Le scrivo questa mia in merito all’articolo a firma di Oscar Giannino pubblicato in data 25 maggio 2024 e intitolato “Tutti i gravi deficit dell’Italia quando si parla dell’Intelligenza Artificiale”. Condivido alcune delle preoccupazioni espresse da Giannino derivanti soprattutto dal fatto che nell’“AI Act” comunitario si sia definita una cornice di rischio, una sorta di “Risk Appetite Framework” mutuato dal mondo finanziario, entro cui aziende e cittadini possono muoversi nello sviluppo dell’IA. Utilizzare questo approccio, su un fenomeno così nuovo e soprattutto essendo il primo territorio a dotarsene, a mio avviso può essere controproducente. Giannino fa notare quanto investano altri paesi sul settore rispetto all’Italia. Pensiamo, seguendo lo stesso ragionamento, a quanto investano o possano investire nazioni come Cina, India e Stati Uniti e a come possano muoversi in piena non regolamentazione del settore. A livello di AI Act è previsto però che i singoli stati membri possano dotarsi di sandbox, ovvero spazi sperimentali in cui sviluppare prodotti o servizi ancora sconosciuti (o quasi) alla norma e ai regolatori. La cornice di rischio a mio avviso avrebbe dovuto essere tracciata dopo un congruo periodo di sperimentazione nelle varie sandbox. Prima ancora che tale opzione fosse esplicitata a livello comunitario depositai una proposta di legge che prevede la creazione di una sandbox regolamentare sull’IA sulla scorta della prima sandbox italiana creata grazie a un emendamento Lega al dl Crescita del 2019 (sandbox regolamentare per Fintech e Insurtech). Le sandbox sono fondamentali al fine di conservare e guadagnare spazi di competitività e sviluppo per le nostre imprese e centri di ricerca. Ora la mia pdl è in discussione alla Camera e due simili ddl (uno del senatore Bergesio della Lega e l’altro del senatore Basso del Pd) lo sono al Senato, dove pure è “atterrato” il c.d. ddl IA del governo che dispone, in ben due punti dello stesso, la creazione di sandbox. Insomma siamo già a buon punto e governo e Parlamento sono entrambi consapevoli dell’importanza degli spazi di sperimentazione.
Giulio Centemero, deputato Lega
Al direttore - Nel mio pezzullo di ieri, grazie all’incantato mondo digitale, un “politicismo senza principi” è diventato “politeismo senza principi”. Non male. Un saluto.
Giuliano Ferrara