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Lettere

Cara Mieli, serve chiarezza, condannando i giovani di FdI

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ilaria Salis: “Vivere in una casa occupata non è qualcosa da furbetti. E’ logorante”.

Michele Magno

Figurarsi per quei furbetti che la occupano pagando un mutuo trentennale.

 


 

Al direttore - Chissà se una volta finiti gli incontri con i vertici europei Giorgia Meloni troverà il tempo di condannare i fascistelli che militano tra le giovanili del suo partito.
Andrea Marini

Ho letto il commento offerto ieri sulla questione dalla solitamente impeccabile Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, e sono rimasto colpito dalla prudenza e dalla diplomazia notevole usata dalla presidente. Ieri si trattava di condannare, senza se e senza ma, i giovani di Fratelli d’Italia, che hanno tollerato per molto tempo la presenza di militanti antisemiti tra le loro file. Parlare di questa storia,  scoperta da Fanpage, contestualizzandola all’interno di un problema più complesso, che riguarda i giovani militanti anche della sinistra che occupano gli atenei, poteva avere un senso quando la storia appariva piccola (lo abbiamo fatto anche noi). Ma non ha più senso oggi quando la storia appare più radicata in un pezzo della destra giovanile legata al partito guidato dalla presidente del Consiglio. La comunità ebraica di Roma ha usato parole più dure, condannando “le immagini vergognose di razzismo e antisemitismo emerse dall’inchiesta”. La comunità ebraica di Roma, poi, esprime solidarietà alla senatrice Ester Mieli, “vittima di offese intollerabili”. Solidarietà giusta. Ma solidarietà andrebbe anche a chi, come Giorgio Zanchini, è stato attaccato in modo furibondo dalla stessa Ester Mieli, ex portavoce della comunità ebraica di Roma, ora parlamentare di Fratelli d’Italia, dopo uno scivolone di Zanchini in radio con la stessa Mieli (“Onorevole, lei è ebrea?”). Chiarezza, senza se, senza ma e senza paura di dare una svegliata, cara Mieli, ai colori politici che si rappresentano.

 


 

Al direttore - E’ morta una persona in modo orribile, quello che è accaduto a Satnam Singh ha scosso l’opinione pubblica, dalla politica ci si aspetta una risposta, ferma e immediata, e possibilmente unitaria. E cosa fa il ministro Lollobrigida? Mente spudoratamente nell’Aula del Senato, in diretta televisiva, tirando in ballo presunte infondate  responsabilità del governo Renzi, invece di rispondere nel merito. Un comportamento deplorevole, indegno delle istituzioni che Lollobrigida si trova a rappresentare. In questa battaglia di civiltà contro il caporalato e le morti sul lavoro, Italia viva ha tentato di richiamare il governo a un atteggiamento di serietà, sottolineando quanto, per altro, la stessa ministra Calderone ha più volte promesso ogni volta che negli ultimi mesi ci siamo trovati, purtroppo, a discutere di terribili tragedie sul lavoro: ovvero, la necessità di mettere le risorse per i controlli e per l’assunzione di un maggior numero di ispettori. Già nelle prime ore dopo la tragedia di Satnam, il ministro Lollobrigida aveva dimostrato di non essere all’altezza, minimizzando, negando il problema, attribuendo le colpe ai singoli. Ma mai mi sarei aspettata che, facendo strame della verità, il ministro ripetesse una bugia così clamorosa, provando a giustificarsi e a gettare discredito su altri, di fronte a un fatto che dovrebbe invece essere trattato con sobrietà e rigore, oltre che con spirito unitario. Per amore di verità, ricordo i punti principali della legge 29 ottobre 2016, n. 199, composta di 12 articoli: la riscrittura del reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), che introduce la sanzionabilità anche del datore di lavoro; l’arresto obbligatorio in flagranza di reato; il rafforzamento dell’istituto della confisca; l’adozione di misure cautelari relative all’azienda agricola in cui è commesso il reato; l’estensione alle persone giuridiche della responsabilità per il reato di caporalato; la repressione penale del caporalato. Poi nel 2020, con l’articolo 103, del decreto legge 19 maggio, n. 34, il così detto decreto Rilancio, l’allora ministra Bellanova si fece promotrice di importanti interventi volti a garantire la regolarizzazione dei lavoratori, italiani e stranieri, impiegati in agricoltura, favorendo loro adeguati livelli di tutela della salute e l’emersione del lavoro irregolare. Si tratta di buone leggi, ma servono risorse per i controlli. Il governo le metta senza girarsi dall’altra parte o scaricare responsabilità. Ciò che è avvenuto è troppo grave e disumano: per una volta, si metta da parte la propaganda e si faccia prevalere il senso delle istituzioni.
Raffaella Paita, senatrice di Italia Viva

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