Macron è più debole di un mese fa ma è più forte di dieci giorni fa

Al direttore - In Italia bisognerebbe inventare delle macchine che tu le chiami e loro ti portano nei posti dove devi andare, tipo a pagamento, che so con delle tariffe, magari potrebbero starcene molte dove c’è più bisogno, fai conto una stazione.
Alessio Viola

   

Un taxi chiamato desiderio.


  

Al direttore - Nel 2017, quando il sovranismo sembrava invincibile nella sua lotta all’Unione e all’euro, Emmanuel Macron condusse una campagna elettorale in controtendenza (invitava i suoi sostenitori a presentarsi alle manifestazioni sventolando la bandiera dell’Europa insieme al tricolore). E vinse. Si presentò in piazza del Louvre la sera della vittoria preceduto dall’“Inno alla gioia” suonato prima della “Marsigliese”. Nello storico discorso della Sorbona affermò: “Non cederò nulla, nulla a quelli che promettono l’odio, la divisione o il ripiego nazionale. Non gli lascerò alcuna possibilità di dettare l’agenda’’. Sette anni dopo, seppure un po’ malconcio, Macron svetta in Europa come il leader in grado di arginare l’onda (sopravvalutata) della destra, assumendo in proprio l’obiettivo antifascista per cui era stato costituito il Nfp. Attendiamo con curiosità, speranza e fiducia il momento in cui si libererà di quel saltimbanco di Jean-Luc Mélenchon e del suo pernicioso programma.
Giuliano Cazzola


   

Al direttore - Il dato politico rilevante nel voto francese è il ridimensionamento della destra antieuropeista, illiberale e filo Putin. La posta in gioco era elevata considerato che la partita si svolgeva in un paese cruciale per le sorti dell’Europa e, in una certa misura, degli equilibri internazionali: la Francia è una potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Guai adesso a sbagliare. Tra circa tre anni si voterà per la presidenza della Repubblica e la destra, malgrado la sconfitta, resta forte e tornerà alla carica. I francesi hanno votato contro il rischio dell’avventura e, in maggioranza, contro impostazioni demagogiche. Occorre che ad assumere la guida del governo della Francia sia oggi una personalità che tenga conto delle aspirazioni dei francesi a cambiamenti necessari nella politica economica nel segno di una maggiore giustizia sociale. Obiettivo da perseguire con tenacia consapevoli delle serie difficoltà in cui versano le finanze del paese. Forse Glucksmann dispone delle doti per assumere la responsabilità della guida del governo di Parigi. Vedremo nei prossimi giorni. Sarebbe irragionevole non considerare nel voto francese il successo politico di Macron, autore di una scelta audace ma politicamente acuta. Una scelta cui è seguito quello che in Italia, un tempo, avremmo chiamato un “sussulto democratico e antifascista”. Macron era dato per spacciato insieme alle sue idee. I fatti dimostrano che era un giudizio semplicistico. Non era così. C’è da sperare in ogni caso che Macron ricavi da questa drammatica vicenda insegnamenti che lo aiutino nei tre difficili anni che restano alla sua presidenza. Importante nei risultati del voto la tormentata e faticosa ripresa del socialismo democratico francese. Vedremo in Germania, ma laburismo e socialdemocrazia in Europa combattono ancora. Per fortuna.  

Umberto Ranieri 

  

È molto semplice. Macron è più debole di un mese fa ed è più forte di dieci giorni fa. Ha fatto una scommessa spericolata, sciogliendo il Parlamento, che gli è riuscita non per questioni numeriche ma per questioni politiche. Dopo le europee, la Francia sembrava pronta a essere governata dalla destra estrema. Dopo le elezioni parlamentari, la Francia sembra essere pronta a essere governata da chiunque, tranne che dalla destra estrema. 


     

Al direttore - L’altro giorno la Cassazione (sentenza n. 12708/2024) ha sanzionato un imprenditore che non aveva pagato alcune tasse a causa di mancati pagamenti della Pubblica amministrazione e ha statuito tra l’altro che “nel caso di specie non ricorre alcun evento imprevedibile, essendo il ritardato pagamento della P.A. un fenomeno (purtroppo) ricorrente, ed essendo onere dell’imprenditore predisporre quanto necessario (accantonamenti, mutui) per poter versare il dovuto all’Erario, pur in presenza di significativi ritardi della P.A. nella corresponsione anche di cospicui importi”. Questa è una di quelle sentenze che gridano vendetta. Grida vendetta perché ratifica l’ingiustizia. Grida vendetta perché assolve (in)direttamente la P.A. per i suoi ritardi cronici e vergognosi. Grida vendetta perché invita l’imprenditore e il professionista a rassegnarsi davanti all’inefficienza. Grida vendetta perché costringe l’imprenditore e il professionista a essere cornuto e mazziato.
 Grida vendetta perché induce a fuggire dalla libera professione e a evitare il rischio imprenditoriale, visto che alcuni player giocano con le carte truccate. 
Grida vendetta perché un conto è vivere in un mondo di prassi ingiuste e regole squilibrate, altro conto è sentirsi dire che va bene così, madama la marchesa. 
Poi uno si domanda perché… no, mi fermo qui, è meglio. Amari saluti.

Giovanni De Marchi