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Lettere

Perché in Europa non riusciamo a incidere sulle decisioni che contano

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa 

Al direttore - Il gioco delle tre carte in cui si sono esercitati gli eletti del Pd a Strasburgo, contrari all’uso delle armi occidentali nel territorio russo e favorevoli all’uso delle armi occidentali nel territorio russo (avendo poi approvato l’intera risoluzione del Parlamento, e quindi il punto in questione), mi ha ricordato certi trucchetti a cui ricorrevano negli anni Settanta i compagni trotzkisti nelle sezioni del Pci, per stare dentro al partito chiamandosi però fuori. Caro Cerasa, le sembra un comportamento politicamente adulto e responsabile? Capisco Lucia Annunziata, che una volta definì quello ucraino un “popolo di badanti e cameriere”. Ma da Stefano Bonaccini e Dario Nardella, per fare solo due nomi che stimo, non me lo sarei mai aspettato.

Michele Magno

Lucia Annunziata scherzava, suvvia. Il problema, purtroppo, è che anche l’unico partito che in Europa si è detto a favore di quel passaggio della risoluzione, Forza Italia, nel nostro paese non ha il coraggio di ripeterlo ad alta voce. E il problema, se mi consente, è ancora più generale e non riguarda solo l’Ucraina. Riguarda l’incapacità dell’Italia di incidere in Europa nelle decisioni che contano. Vale per Fratelli d’Italia, uno dei partiti che hanno portato a Strasburgo il numero più alto di parlamentari. Ma vale anche per il Pd, che pur avendo ottenuto il numero più alto di europarlamentari nei gruppi socialisti, non sembra  in grado di conquistare una sola poltrona che conti. Momento di romanticismo politico: immaginate che cosa sarebbe successo se Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia avessero deciso di far pesare i voti in Europa muovendosi come rappresentanti uniti di un paese e non solo come membri dei propri gruppi politici europei? La risposta è facile: i partiti si sarebbero  occupati un po’ più del nostro ruolo in Europa e un po’ meno del loro ruolo in Italia. Per il momento, very bad.


   

Al direttore - Anche il Foglio fa riferimento a come potrebbero evolvere i  rapporti economici Usa-Europa nel caso di una vittoria di Trump nelle elezioni presidenziali, rapporti  che  costituirebbero materia di riflessione  pure da parte della Bce ai fini delle future decisioni di politica monetaria. Quanto al voto per la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, da diversi commentatori si sostiene che sulla decisione di Giorgia Meloni abbia pesato anche una collocazione del suo partito e di se stessa, nella  sua duplice veste,  in un possibile raccordo con una presidenza Trump. Molto vi sarebbe da dire al riguardo. In particolare, a proposito della Bce la quale continua a inseguire e farsi inseguire dai dati e rinuncia a influire sulle aspettative con una politica di anticipo, mentre ripete la giaculatoria sui dati e sull’assenza di impegni: una fotocopia che si trasferisce dall’una all’altra seduta del Consiglio direttivo, con una comunicazione confusa e sterile. Ma, al di là di ciò, Trump già determina effetti, addirittura all’estero? E se le previsioni fossero smentite dalla realtà? Già si vende la pelle dell’orso? Ci si riconverte rapidamente, “more solito”, se le previsioni venissero sconfessate? Con i migliori saluti

Angelo De Mattia 


  

Al direttore - Si pecca di assolutismo nel considerare l’azione di Giorgia Meloni giusta o sbagliata. Le posizioni, a mio avviso, in qualsiasi situazione, dovrebbero essere considerate trasversali e, allo stesso tempo, generative e distruttive per scenari futuri; una sorta di equilibrio scacchistico capace di poter sostenere il gioco in divenire. Meloni ha portato avanti la sua strategia in Italia non allineandosi al governo di Draghi che si espresse nei confronti della Meloni dichiarandola leale. In questi mesi si è potuta osservare l’amicizia tra la von der Leyen e la Meloni. Porsi al di là del sostegno formale è stata una mossa che ha fatto crescere Fratelli d’Italia nello scenario politico italiano; ma non solo: ha favorito il riconoscimento di lealtà di Draghi verso la Meloni. Ripetere il gioco vincente nel posizionarsi fuori dalle ideologie di macropensiero e, allo stesso tempo, mantenere la relazione umana (leale) verso la big von der Leyen potrebbe essere favorevole a Meloni per dare avvio alla tipizzazione di un comportamento che le consentirebbe una ulteriore crescita. Non dimentichiamoci infatti che il governo italiano si sta preparando al giro di boa istituzionale in Italia e, volente o nolente, è necessario pensare a una possibile campagna elettorale futura (al netto di possibili crisi di governo), ripetendo lo schema che le ha consentito la scalata espressa con il voto del 2022. La scelta di Giorgia Meloni la mette in posizione di riparo per gestire le bordate di Salvini e, dichiarando di non condividere il metodo e il modo dell’accordo che ha riportato alla rielezione la von der Leyen, ha spazi di gestione per i rapporti in divenire. Da un punto di vista strategico ha segnato un punto; da un punto di vista di governabilità porta avanti la sua posizione su due fronti: Italia ed Europa con un occhio alle prossime politiche. Il centrodestra italiano si è diviso i compiti; mantiene un piedino sulla porta in Europa, grazie a Forza Italia, mentre Meloni liscia le piume a Salvini.
Barbara Bononi
 

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