le lettere
Centrismo ok, ma oggi bisogna anche scegliere da che parte stare
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - “Historia magistra vitae”, ha ricordato il presidente Mattarella incontrando la stampa al Quirinale. Purtroppo ha sempre avuto pessimi scolari, chiosava Antonio Gramsci. Basta ricordare quanto avvenne alla metà degli anni Duemila. Nel 2005 la Gad (Grande alleanza democratica) viene rinominata l’Unione. Erede dell’Ulivo, la coalizione comprendeva una miriade di forze eterogenee: cattolici, riformisti, populisti (Di Pietro), comunisti di ogni tendenza, ambientalisti, pacifisti, radicali, socialisti, repubblicani, movimenti regionali e gruppi di carattere chiaramente clientelare (consumatori e pensionati). Nel 2006 nasce il governo Prodi II: 103 tra ministri, viceministri e sottosegretari (il più numeroso del Dopoguerra) e 281 pagine di programma. Cade dopo un biennio di Vietnam parlamentare, sotto i colpi delle sue risse intestine. Del resto, come è noto, il diavolo e l’acqua santa non vanno molto d’accordo. Vengo al punto. Renzi ora si propone di fare l’ala “blairiana” del campo largo. Nel campo extralarge di quindici anni fa, un vero e proprio inferno politico, furono sufficienti cinque senatori dai flessibili princìpi per mandare a casa Prodi. Crede sul serio di poter mettere la mordacchia a tutti coloro che vogliono la resa dell’Ucraina, l’abolizione del Jobs Act e far “piangere i ricchi”? A me la sua, più che l’ennesima mossa del cavallo, sembra una mossa della disperazione.
Michele Magno
Una sana dose di centrismo, ancora oggi, è un antidoto necessario contro il populismo di destra e di sinistra. Ma in un paese dove il bipolarismo torna a farsi sentire, in politica, nel quotidiano, nelle nostre teste, nella nostra vita, scegliere da che parte stare può diventare un dovere, non un’opzione. La disperazione forse c’è. Ma immaginare un’alternativa nel centrosinistra che sceglie di riappropriarsi di un pezzo della sua storia dalle mie parti si chiama buona notizia.
Al direttore - Don Giovanni Gregorini era nato nel 1911 in un paesino della Val Camonica ricadente nel territorio della provincia di Brescia. Dopo gli studi in seminario, divenne sacerdote nel 1934 e a metà del 1942, in pieno Secondo conflitto mondiale, arrivò la chiamata per sostituire a Roma il parroco della chiesa di San Benedetto da Norcia ubicata nel Quartiere X, Ostiense. Accolta la nomina con soddisfazione, gli eventi incombenti del conflitto crearono pochi mesi dopo una situazione drammatica che egli affrontò con capacità e vigore: ospitare presso la sua chiesa alcune famiglie ebree scampate al rastrellamento compiuto presso il ghetto del Portico d’Ottavia dalle truppe tedesche il 16 ottobre 1943. Ma il 3 marzo 1944 la chiesa venne bombardata e praticamente rasa al suolo. Ricostruita nel 1949, don Giovanni restò parroco fino al 1984 – esattamente fino a quarant’anni fa, ragione per cui vi scrivo questa lettera – quando si dimise per raggiunti limiti di età. Si spense nel 2002. Nulla per molti anni si seppe di questa vicenda ma all’inizio del Terzo millennio qualcosa iniziò a trapelare e oggi don Giovanni Gregorini è stato riconosciuto “Giusto nei Giardini tra i Giusti”. Significativa infine la frase pronunciata dal sacerdote al momento dell’accoglienza del 16 ottobre 1943: “Accomodatevi tutti, è appena arrivato l’ordine di farvi entrare”. Chi dette “quell’ordine”? Ebbene, fu Pio XII (Eugenio Pacelli), che a poche ore dal rastrellamento aveva già emanato disposizioni precise per salvare quante più vite possibili. Questo episodio, se ce ne fosse ancora bisogno, testimonia l’agire discreto ma sempre determinato del Pontefice che in Italia e all’estero si adoperò per salvare gli ebrei e altre minoranze perseguitate, utilizzando la diplomazia conclamata con un’azione silenziosa ma capillare che raggiungeva ogni luogo con estrema rapidità ed efficienza. Certo, è mancato il coraggio della pubblica condanna soprattutto dopo l’emanazione delle leggi razziali in Italia e le ripetute nefandezze in Germania ma tutto lascia pensare che le vite salvate possano essere molte e molte di più di quante sappiamo o immaginiamo: la storia di don Giovanni Gregorini e di tanti altri “don Gregorini” rimasti al momento ignoti, potranno forse un giorno dimostrarlo.
Sergio De Benedetti