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L'incomprensibile piagnisteo per la rimozione del ragionier Mazzotta
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Giovanni Malagò ha proposto al Cio di cambiare le regole della scherma alle Olimpiadi: si vince alla quattordicesima stoccata.
Michele Magno
Coincidenze che fanno tentennare anche noi anti complottisti. Per dire: l’arbitro video della finale di Filippo Macchi è lo stesso dell’eliminazione di Arianna Errigo. In entrambi i casi, la gara è stata decisa all’ultima stoccata. In entrambi i casi, l’ultima stoccata è stata controversa, non chiara. In entrambi i casi, la controversia è stata risolta dall’arbitro sudcoreano Suh Sang Won contro l’Italia. Unico alibi: uno dei due arbitri, nella finale di Macchi, era di Taiwan, e immaginare che un arbitro taiwanese faccia carte false per far vincere una medaglia a un atleta cinese forse è un po’ troppo.
Al direttore - Sul Foglio di lunedì c’è una analisi seria e non banale che fa chiarezza sulle scelte non prorogabili che deve fare l’area ideale, culturale e politica liberaldemocratica dopo il fallimento del fu Terzo polo nella versione Renzi-Calenda. Il ragionamento di Salvati è particolarmente utile per migliorare la governabilità dell’Italia il cui bipolarismo ha finito per favorire solo il rafforzamento delle ali estreme dei due schieramenti. In tal senso, fermo restando un centrismo di centrodestra, l’attuale Forza Italia che ritiene comunque di poter collaborare con gli altri partiti di destra-destra, urge rianimare con serietà un centrismo orientato a sinistra con organizzazione e programma autonomo e quindi attrattivo per chi trova troppo vaga, ambigua, non realmente innovativa la politica espressa dalla attuale dirigenza del Pd. Questo significa fare politica in modo professionale con un fondamento culturale e senza piroette fondate su schieramenti che, se si formeranno, dovranno fondarsi solo su contenuti precisi e condivisi, finalizzati a garantire più libertà e più giustizia per tutti. Grazie prof. Salvati, il quadro è così più chiaro: quello che serve è una nuova conduzione di questa area liberaldemocratica riformatrice da costruire, previo l’accantonamento da posizioni leaderistiche dei due sconfitti Renzi e Calenda, oramai ostacoli oggettivi al recupero dei tanti delusi dal loro spettacolo indecoroso. Cordialmente.
Giovanni Foschi
Al direttore - Accantonerei, per ora, la difficilmente condivisibile definizione di “piagnone” nei riguardi del ragioniere generale Biagio Mazzotta di cui all’efficace articolo di Caruso sul Foglio del 30 luglio. Sarebbe preferibile concentrarsi su di un aspetto fondamentale di questa vicenda: il non conoscere ancora (se) e quali siano le precise contestazioni che il ministro Giorgetti muove al ragioniere generale e quali le controdeduzioni di quest’ultimo che, si è detto tempo fa, sarebbero state esposte in un denso promemoria. Possibile che si debba rimanere all’oscuro di questo asserito scambio di censure e di repliche e che sia sufficiente che il ministro gratifichi Mazzotta della definizione di servitore dello stato? Non dovrebbe esserne informato il Parlamento? Non si ritiene la Ragioneria generale uno degli organi neutri di garanzia? E allora non si imporrebbero trasparenza e parresia, innanzitutto a partire da chi muove contestazioni propedeutiche a quello che sarebbe un “promoveatur (ammesso che di promozione possa parlarsi) ut amoveatur”?
Angelo De Mattia
Perfettamente condivisibile. Come perfettamente condivisibile è chiedersi come sia possibile stracciarsi le vesti per la rimozione di un ragioniere dello stato responsabile, insieme con altri, di quella che Mario Draghi due anni fa definì una truffa “tra le più grandi che la Repubblica abbia mai visto”.
Al direttore - Fedele alla lezione storicistica di Benedetto Croce – secondo cui la storia è sempre storia contemporanea, non nel senso distorto, con cui l’intendiamo oggi, quale ripetizione di eventi passati, bensì nel significato pertinente che il filosofo attribuiva a essa, per cui l’interesse per il passato è sempre risvegliato dalle problematiche del presente in cui operiamo – rammento che tra meno di un mese ricorrono gli anniversari della morte di due grandi della fondazione della Prima Repubblica: Alcide De Gasperi (19 agosto, settant’anni), Palmiro Togliatti (21 agosto, sessant’anni). Perché il richiamo a essi? Per la consapevolezza con cui entrambi avvertirono e gestirono il primato della politica estera sulla politica interna dell’Italia, nel contesto dell’affermazione di un nuovo e parziale assetto internazionale europeo e mondiale. A quel primato conformarono l’azione sul terreno istituzionale e politico dei rispettivi partiti di cui erano al comando. Errori e limiti, unitamente a grandi virtù, da una parte e dall’altra, certo, ma pur sempre espressioni di raggruppamenti e organizzazioni umano-storiche comunitarie e non personalistiche ed elitistico-azioniste e minoritarie. C’è oggi un analogo grado di visione e comportamento – nelle forme proprie del nostro presente – tra le attuali forze politiche e coalizioni parlamentari italiane? A me non pare affatto, soprattutto per l’assenza di un coerente aggancio, di collocazione e ispirazione, alle famiglie politico-culturali fondamentali della storia europea e italiana di un liberalismo comunitario: socialista e socialdemocratico e popolare.
Alberto Bianchi