lettere al direttore

Uno spot tv mostra cosa significa vivere da ebrei in Francia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “Sono ebreo. Non ne traggo motivo né di orgoglio né di vergogna. Non rivendico mai la mia origine salvo che in un caso: quando mi trovo di fronte a un antisemita”. (Marc Bloch, “La strana disfatta”, 1946).
Michele Magno

Marc Bloch avrebbe apprezzato uno spot televisivo che stanno vedendo da giorni milioni di telespettatori in Francia. Lo spot è sull’antisemitismo, mostra gli effetti reali dell’odio sugli ebrei, racconta la storia di una tale famiglia Cohen a Parigi, mette in mostra la realtà della vita degli ebrei in Francia negli ultimi anni, con gli ebrei che diventano bersaglio, con l’antisionismo che diventa un modo facile per mascherare il proprio antisemitismo, e finisce con una frase che suona grosso modo così:  “Let us Retrieve Our Fraternity”. Ieri, parlando con il Jerusalem Post, Chabad Rabbi Yaacov Bitton, il rabbino della comunità francese di Sarcelles, ha affermato che, pur sperando che la comunità ebraica possa sopravvivere per molti anni in Francia, il suo sentimento personale è che gli ebrei non abbiano “più di 10 anni in Francia”. Viva la famiglia Cohen. Viva Marc Bloch.

   


   

Al direttore - Parlando della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha affermato che “la condanna giudiziaria di persone che si definivano orgogliosamente neofasciste non lascia equivoci. E lo dimostrano anche le ultime sentenze”. Poi ha aggiunto: “Se dopo quarant’anni c’è stata un’univoca conclusione giudiziaria rispetto alla matrice, non ci sono elementi di discussione”. Il ministro dovrebbe sapere, però, che “l’univoca conclusione giudiziaria” dalle nostre parti (non solo ma soprattutto) non è garanzia di nulla, come dimostrano in particolare le sentenze sulla strage di via D’Amelio, per decenni “univoche” nel condannare innocenti poi assolti nel processo di revisione. A parte ciò, di “elementi di discussione” intorno a quella terribile strage, ce ne sarebbero molti, se solo non ci si volesse per forza appiattire su delle condanne che definire controverse è poco e che difficilmente possiamo considerare emesse al di là di ogni ragionevole dubbio. A questo punto, però, a occuparsene non saranno più le aule di un tribunale, ma la più obiettiva, almeno si spera, Storia.
Luca Rocca

 


   

Al direttore - Caro Cerasa. Lei ha illustrato ottimamente l’ipocrisia del segretario dell’Onu. E ha dimostrato il “link” tra l’aggressione russa all’Ucraina e quella araba a Israele. Ho pensato dopo il pogrom del 7/10, ma non ci voleva molto, che la guerra di Putin che ha impegnato l’occidente libero, è servita a Hamas per preparare il suo attacco nella tranquillità più totale. E infatti dopo il maledetto giorno una delegazione di Hamas è andata a baciare la pantofola di Putin per non dire di peggio. Sarebbe il caso che tutti i paesi Nato ne prendessero atto, a parte la Turchia, ma questo è un discorso a latere.
Marco Angoletti

     


 

Al direttore - E’ molto appropriata l’interpretazione che un editorialino con un neologismo nel titolo fabbricato dal Foglio (“endorsa”, che non è peggiore di altre espressioni che si vanno diffondendo come postura, narrazione, declinazione, anglicismi vari, etc.) offre di una dichiarazione dell’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel sulla forza del governo Meloni: le cose vanno bene e l’unico avversario della premier non è la congiuntura, ma è essa stessa, se invece le cose andassero male. Ci si deve, comunque, chiedere se almeno lo sviluppo di questa dichiarazione come interpretata dal Foglio non avrebbe potuto essere compiutamente espressa per evitare che le parole vengano considerate un mero elogio non appropriato per un molto stimato banchiere, qual è Nagel, considerato che è buona regola non manifestare in tale veste né un “favor”, né un contrasto nei confronti del governo, valorizzando così la propria autonomia e terzietà. La sola volta che ho ascoltato il celebre banchiere Enrico Cuccia elogiare un’Authority è stato in un convegno di studio organizzato da un noto Collegio presso l’università di Pavia in cui l’allora governatore della Banca d’Italia svolse una “lectio” prevalentemente teorica in materia finanziaria, di investimenti e di rendimenti. Sono considerazioni di livello assai alto e rigoroso su cui dovrebbero riflettere quelli che vengono dopo di noi, disse in sostanza Cuccia, agevolato dal carattere teorico del discorso. Poi tacque.
Angelo De Mattia

 


 

Al direttore - Finalmente libero Giovanni Toti rilascia molte interviste. E parte col piede sbagliato: “Ho la coscienza a posto. Andrò a processo per dimostrare la mia innocenza”. Toti non deve dimostrare nulla. E’ la procura di Genova che deve dimostrare la sua colpevolezza.
Valter Vecellio

   


 

Al direttore - Non sono particolarmente scandalizzato dalla richiesta di giudizio nei confronti di Toti. Alcuni suoi comportamenti sembrano al limite tra attività politico-amministrative e attività poco trasparenti. Comunque sospendo il giudizio e sarà il tribunale a valutare le ragioni dei pm e della difesa. Quella che resta difficilmente comprensibile è la motivazione degli iniziali rigetti, del pm e poi del gip, delle richieste di revoca degli arresti domiciliari, in sostanza perché Toti era ancora presidente della Liguria. Ma qualcuno può seriamente pensare che dopo mesi di diluvio mediatico Toti, anche se avesse voluto, avrebbe potuto ripetere i comportamenti che gli sono contestati? In realtà gli arresti domiciliari servivano a chiedere il giudizio immediato in quanto l’esistenza di una misura coercitiva ne é è la condizione. Quindi sono stati ottenuti due risultati aggiuntivi: le dimissioni da presidente, una scelta che non dovrebbe essere imposta dai magistrati ma  semmai deve essere politica, e il giudizio immediato. Ma con una motivazione fasulla, tanto è vero che la misura subito dopo il decreto di giudizio immediato è stata revocata. Fasulla, possibile che nessuno l’abbia notata?
Guido Salvini
ex magistrato