Il processo Borsellino quater a Caltanissetta, una foto del 1994 (LaPresse)

lettere al direttore

“Mafia e appalti”, il dossier che il circo mediatico-giudiziario ha ignorato

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nella boxe il peso decide la categoria nella quale l’atleta gareggia. Con una studiata relazione del rapporto “peso/testosterone” si potrebbe immettere questo parametro per decidere la categoria dell’atleta. Forse Imane Khelif, con il nuovo parametro, avrebbe gareggiato in una categoria superiore.
Serafino Penazzi

Al direttore - L’indagine della procura di Caltanissetta che coinvolge l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l’ex pm palermitano Gioacchino Natoli, accusati di aver insabbiato un’inchiesta confluita nel dossier mafia-appalti, finirà quasi certamente nel nulla. Troppi anni passati e accuse difficili da dimostrare. Che l’inchiesta mafia-appalti sia la causa delle stragi che ci hanno portato via Falcone e Borsellino, però, è più che probabile, pur non essendo ancora stato accertato. Certo, però, è che pm (e giornali, tranne rare eccezioni) hanno seguìto per anni, con determinazione e scarsa obiettività, la pista sicuramente sbagliata, quella sulla cosiddetta trattativa stato-mafia come causa della morte dei due magistrati. Trascurando, inevitabilmente e coscientemente, quella che poteva svelare e spiegare i reali motivi di quelle atroci stragi. Forse, se magistrati (e giornalisti) avessero fatto bene il loro lavoro, e il loro dovere, avremmo avuto qualche verità in più e qualche fallace teorema in meno. 
Luca Rocca

Metterei da parte la vicenda che riguarda Giuseppe Pignatone e dedicherei attenzione a un’inchiesta che buona parte del circo mediatico-giudiziario ha scelto sempre di trascurare in modo piuttosto vergognoso, quando ha provato a ricostruire i fatti che si nascondevano dietro alle stragi del 1992. Mario Mori, ex capo dei Ros, raccontò anni fa a questo giornale qualche dettaglio interessante sul tema “Mafia e appalti”. Secondo Mori il filo che unisce le stragi del 1992 – l’anno in cui furono uccisi nel giro di poche settimane prima Falcone e poi Borsellino e prima ancora un comandante della sezione di Perugia che insieme con i Ros aveva iniziato a lavorare su “Mafia e appalti”: Giuliano Guazzelli – sarebbe legato all’attenzione che Mori e Borsellino credevano fosse opportuno dare a quell’inchiesta. Poco prima di essere ucciso, poi, Borsellino partecipò a un incontro molto importante, dedicato a questo dossier. Era il 25 giugno 1992 e il pm convocò in gran segreto nella caserma di Palermo Mario Mori e il capitano De Donno. Borsellino confessò ai due che riteneva fondamentale riprendere l’inchiesta “Mafia e appalti”. Perché – sosteneva Borsellino – quello “era uno strumento per individuare gli interessi profondi di Cosa nostra e gli ambienti esterni con cui essa si relazionava”. Le ragioni per cui l’incontro nella caserma dei carabinieri di Palermo fu mantenuto segreto, ricorda Mori, vennero ammesse in quelle ore dallo stesso Borsellino, che “non voleva che qualche suo collega potesse sapere dell’incontro”.  Secondo il generale, in quei giorni Borsellino era preoccupato per una serie di fatti accaduti. Uno in particolare era legato a una data precisa. Il 13 giugno 1992 uno dei mafiosi arrestati dalla procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta “Mafia e appalti” – il geometra Giuseppe Li Pera – si mise a disposizione degli inquirenti dicendo di essere disposto a svelare “gli illeciti meccanismi di manipolazione dei pubblici appalti”, ma i magistrati di Palermo risposero dicendo di non essere interessati. Pochi giorni dopo aver tentato di accelerare le indagini sull’inchiesta “Mafia e appalti”, in una 126 rossa parcheggiata in via D’Amelio, nel cuore  di Palermo, esplosero cento chili di tritolo e uccisero il giudice Borsellino e i suoi cinque agenti della scorta. Era il 19 luglio 1992. Solo un giorno dopo, quando ancora la camera ardente di Paolo Borsellino non era stata neppure aperta, la procura di Palermo depositò un fascicolo con una richiesta di archiviazione. Sopra quel fascicolo c’era un codice fatto di sei numeri: 2789/90. Era l’inchiesta “Mafia e appalti”.

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