Foto LaPresse

Lettere

Confondere aggrediti e aggressori fa degli ostaggi vittime collaterali

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, quella dei bassi salari italiani rischia di diventare una questione trita, spesso affrontata con slogan propagandistici dal sindacato confederale. Mi consenta, allora, di ricordare qualche dato. È vero, siamo il paese dell’area Ocse in cui le retribuzioni dei lavoratori hanno perso maggiore potere d’acquisto rispetto all’inflazione. Attenzione, però. Non è così per tutti. Ci sono retribuzioni che sono cresciute, tenendo più o meno il passo con il caro vita. E altre che sono rimaste ferme, svuotando così le tasche dei loro percettori. Molto dipende, infatti, dal settore in cui si lavora. Come hanno scritto più volte Marco Leonardi e Luciano Capone sul Foglio, quando si parla di salari bassi occorre quindi distinguere: si tratta dei salari dei servizi e del pubblico impiego, e non dei salari dell’industria. Dal 2001, essi sono aumentati del 75 per cento nell’industria, mentre nella pubblica amministrazione e nei servizi solo del 45 per cento. Si pensi agli insegnanti. Secondo l’ultimo Rapporto Eurydice, la retribuzione annuale lorda di un docente italiano è di circa 24 mila euro, contro i 28 mila dei francesi e i 54 mila dei tedeschi. I bassi salari italiani sono pertanto legati soprattutto alla crescita di servizi poco qualificati e alla dinamica stagnante degli stipendi nel settore pubblico, che abbassano drasticamente la media. Secondo l’Osservatorio JobPricing, a fronte di una media nazionale di 30.838 euro del Ral (Retribuzione annua lorda), le buste paga più pesanti sono quelle degli addetti dei servizi finanziari (45.906 euro), seguite da quelle delle utility (con 33.459 euro), dell’industria di processo (32.259) e dell’industria manifatturiera (31.475). Sotto la media: i servizi (29.564), il commercio (29.926), l’edilizia (27.896) e l’agricoltura (25.198 euro). Insomma, molto dipende anche dalla “ricchezza” del settore. Il metalmeccanico e il chimico sono settori ad alta intensità di capitale, con margini maggiori, nei quali il costo del lavoro ha un peso minore, per cui possono permettersi di seguire l’inflazione. Nei servizi, invece, si trova la parte più fragile del tessuto produttivo italiano, che non riesce a compensare gli aumenti del costo del lavoro con aumenti della produttività. Ora, quante volte sentiamo che l’aumento dei salari è legato all’aumento della produttività? Il problema è che la terziarizzazione dell’economia italiana è avvenuta soprattutto con servizi poco qualificati e quindi poco pagati. Di qui la media in discesa. Un fattore determinante della bassa produttività italiana, poi, è la dimensione più piccola delle nostre imprese. Che poi sono quelle che fanno scarsi investimenti in tecnologia, ricerca e sviluppo, sottoscrivono raramente contratti aziendali migliorativi e hanno bassi salari. Tra una micro-impresa, con meno di dieci dipendenti, e una grande, con più di mille dipendenti, c’è una differenza di oltre diecimila euro all’anno del Ral. Inoltre, i bassi salari contengono pure i consumi interni, determinando una crescita bassa. E anche l’Ocse sottolinea che la produttività stagnante è la principale palla al piede dell’economia italiana (Employment Outlook, 2024). E un paese che non cresce crea, ovviamente, lavoro di minore qualità e salari più bassi. E’ il classico caso del cane che si morde la coda. Chi scrive non ha soluzioni in tasca, né a lui del resto gli competono. Tuttavia, resta sempre convinto che senza farsi le domande giuste è difficile dare risposte corrette.
Michele Magno


Al direttore - Altri sei ostaggi morti recuperati dall’esercito israeliano nella indifferenza più odiosa della stragrande maggioranza della pubblica opinione italiana. Centinaia di morti trucidati da Hamas e centinaia di rapiti detenuti in condizioni disumane e spesso deceduti per sevizie o malattia o fame. Un dramma che dovrebbe riempire il cuore di tutte le persone e avvicinarle alla sofferenza di Israele. Non me ne capacito ma purtroppo non sta accadendo e le vittime sono diventate in un teatro dell’assurdo i carnefici. Con i migliori saluti. 
Roberto Alatri


Non saper distinguere gli aggrediti dagli aggressori porta a trasformare gli ostaggi uccisi dai terroristi islamisti in inutili danni collaterali. Porta a trasformare i terroristi nemici della libertà in partigiani difensori della libertà. Porta ad aver paura di dire “bring them home” perché ricordare cosa succede nei tunnel di Hamas significa ricordare cosa è successo il 7 ottobre. E porta a ricordare con chiarezza chi sono le vittime e chi sono i carnefici. Free Gaza. From Hamas.


Al direttore - Sulla Repubblica di ieri Valentina Petrillo – facendo riferimento all’articolo che ho firmato su di lei per il Foglio – oltre a definirmi con diminutio tattica “blogger” (sarei giornalista dal 1984 e pure da prima dell’esame professionale, ho scritto praticamente su tutte le testate nazionali oltre a vari saggi, quindi blogger sarà sua zia) mi indica insieme a Pillon come unica voce critica riguardo alla sua partecipazione alle Paralimpiadi di Parigi. È qui che sbaglia: fossi solo io! E invece a criticare sono le atlete di tutto il mondo, a cominciare dalla transatleta Caitlyn Jenner, già oro olimpico quand’era Bruce; e dalla paralimpica Melani Berges che non potrà partecipare ai Giochi perché il suo posto è stato occupato da lei. A Petrillo auguro di stravincere secondo le regole di base della lealtà e della giustizia sportiva, tra le quali (dalla notte dei tempi) rientra quella che prevede che corpi femminili e corpi maschili gareggino in categorie diverse.    
Marina Terragni

Di più su questi argomenti: