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lettere al direttore

Se esistono i paradisi fiscali è anche perché il nostro è un inferno

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “La peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama conformismo. E’ una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza; una specie di ossessione, che non attende le raccomandazioni esterne, ma le previene; che non si piega alle pressioni dei superiori, ma se le immagina e le soddisfa in anticipo” (Piero Calamandrei, “Elogio dei giudici”, Ponte alle Grazie, 1999). Per fortuna il giudice che ha archiviato la querela di Piercamillo Davigo al Foglio era immune dalla “davighite”. Non tutto è perduto nel nostro, come diceva De Gaulle, che non è un paese povero, ma un povero paese.
Michele Magno

   


    

Al direttore - Mi imbatto casualmente in una pagina di Repubblica, comprato ahimè dalla mia compagna, dove leggo il titolo di un articolo che loda le doti letterarie del terrorista numero uno Sinwar, quasi come fosse Silvio Pellico, che traduce e scrive negli anni di prigionia (che sia stato accanimento giudiziario?) nelle carceri israeliane da cui fu rilasciato, per eccesso di umanitarismo occidentale di cui stiamo pagando le conseguenze. Più Foglio per tutti , mi vien da gridare.
Enrico Cerchione

   


    

Al direttore - Scrivo questa mia in riferimento al suo editoriale su Sinner. Per quello che può contare il mio pensiero lo condivido in toto e, ancor più, quando afferma l’importanza che quella procedura dovrebbe avere cittadinanza nelle quotidiane procedure e nei quotidiani comportamenti dei vari soggetti in campo di qualsiasi inchiesta giuridica e assimilate di un paese civile. Però, mi permetta, la risposta alle sue domande (legittime e reali) “cosa sarebbe capitato a Sinner se…” la risposta, dicevo, è in tutti quei casi di anni addietro (pressoché identici) che hanno avuto il corollario di sospensione gogna squalifica appello assoluzione marchio a vita di dopato. Mi permetto, per il suo tramite, di suggerire a Sinner, vista la visibilità e notorietà di cui gode, e vista questa sua esperienza, di farsi testimonial e lobbista per far sì che la procedura prevista, illustrata da Millman e a cui lei (meritoriamente e penso in modo unico) ha dato cittadinanza in un suo editoriale, possa trovare attuazione in tutti gli altri sport e, ancor più, essere incardinata nell’agone della nostra giustizia attualmente orfana di una simile procedura.   Penso che nessuno leggerà mai questa mia per cui mi permetto e oso un secondo consiglio a Sinner: visto che la residenza fiscale a Montecarlo è in parte, da quanto ho letto, giustificata con gli impianti sportivi adeguati rispetto alla non adeguatezza di quelli italiani, si faccia paladino in modo pressantemente risolutore per nuovi impianti di base e di vertice per il nostro paese. Per puntualizzare il mio pensiero su Sinner/Montecarlo: lui può fare quello che vuole e dove vuole, è un campione e un talento, un bravo, esemplare ragazzo, però se risiede a Montecarlo non mi rappresenta e lo vedo come uno dei tanti campioni e talenti non italiani e, di conseguenza, non può rappresentare il nostro paese nelle competizioni internazionali con, se si arriva, medaglie e inno. 
Gianfranco Salciccia

Grazie della sua lettera, piena di spunti. Per me vale un principio: un fenomeno andrebbe giudicato senza moralismo per quello che fa sul suo terreno di gioco. E ogni volta che il tema di Montecarlo torna di prepotenza nel dibattito pubblico bisognerebbe ricordare che, come hanno scritto su queste pagine Carlo Stagnaro e Serena Sileoni, tutti gli stati europei si fanno concorrenza l’un con l’altro sulle tasse, l’Italia per prima, e non risulta che in Portogallo abbiano considerato Cristiano Ronaldo meno portoghese quando è venuto in Italia a giocare anche per beneficiare di una tassazione agevolata sui suoi redditi esteri, e che se esistono i paradisi fiscali è anche perché il nostro è un inferno.