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Lettere

Una destra che non ha rispetto dei carcerati ha più di un problema

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Unioncamere ha sparato 846 mila nuovi posti di lavoro nella Pubblica amministrazione entro il 2028. Un milione circa senza che nessuno abbia battuto ciglio. Vedremo come andrà a finire ma quando lo disse Berlusconi tutti a prenderlo in giro. 
Roberto Alatri

Vero. Ma per fortuna non si prevedono abbuffate: il 91 per cento dei nuovi assunti è legato alla sostituzione di personale. Numeri interessanti. Ma la vera svolta nel pubblico impiego avverrà non quando ci saranno più impiegati da assumere ma quando lo stato avrà la libertà di mandare via chi lavora male. Cercasi un jobs act anche nel pubblico impiego. 


Al direttore - E’ stupefacente come una destra libertaria, quasi superomistica, che si scaglia contro l’obbligo vaccinale (dittatura sanitaria), il redditometro (grande fratello fiscale) e il politicamente corretto (neolingua orwelliana), si scopra statolatrica sulla pelle dei detenuti. Ma la sincerità di una destra gelosa della libertà personale, ostile a ogni pedagogismo da stato etico, non si misura forse proprio dal rapporto che essa ha col carcere?
Francesco Calcinari

Un paese che non ha rispetto dei suoi detenuti non ha rispetto dello stato di diritto. Un paese che non ha rispetto dello stato di diritto è un paese che non ha rispetto di se stesso. E una destra che non ha rispetto delle carceri non ha un problema solo con lo stato di diritto ma ha un problema anche con la sua storia. E una destra che non è in grado di dare un calcio dove meriterebbe a un Delmastro, per dire, è una destra che ha scelto di dare un calcio ai valori non negoziabili di una società aperta. Vergognarsi, almeno di questo. 


Al direttore - Stefano Cingolani ha ricordato ieri, sulle colonne di questo giornale, quanto sia impegnativo il “sentiero stretto” del Piano fiscale con un probabile orizzonte settennale che il nostro governo, a partire dalla seconda metà di settembre, dovrà presentare in sede europea: si tratta, come è noto, di assicurare la sostenibilità del debito pubblico (per tutti gli stati membri dell’Unione europea con rilevanti squilibri di bilancio) riducendo il deficit strutturale primario e stimolando gli incrementi di produttività e crescita secondo il metodo Pnrr, cioè agendo sul combinato disposto di riforme e investimenti. Cingolani ricorda ancora (e giustamente) l’importanza del coinvolgimento delle forze sociali in questo percorso e segnala il “bisogno di un profondo mutamento nei servizi laddove ristagna la bassa produttività”. Conclude, poi, chiedendo cosa ne pensi Confcommercio, posto che, in occasione della nostra assemblea pubblica dello scorso mese di giugno, avrei rivendicato “il ruolo economico e sociale del commercio, a cominciare da quello di prossimità”, ma, al contempo, “avrei glissato sulla necessità di renderlo più efficiente aumentando la concorrenza”. Rispondo, dunque, facendo osservare a Cingolani che, nella mia relazione assembleare, ho invece sottolineato il ruolo di Confcommercio come “casa comune” del modello italiano di pluralismo distributivo, modello da considerarsi un valore, “perché arricchisce la qualità dell’offerta, agisce a favore della concorrenza, produce e diffonde innovazione”.  Così, per contrastare i rischi di desertificazione commerciale, la nostra proposta può essere sintetizzata in tre linee d’azione: concorrenza a parità di regole (amministrative o fiscali che siano) secondo il principio “stesso mercato, stesse regole”, innovazione “sartoriale” a misura delle imprese (piccole, medie o grandi che siano), politiche pubbliche conseguenti. Il percorso di profonda liberalizzazione del commercio italiano, a partire dalla riforma “Bersani” del 1998, è, del resto, indiscutibile. Ma restano necessarie e urgenti (per il commercio e per l’intero sistema dei servizi di mercato) politiche attive dedicate per affrontare la sfida della transizione digitale e di quella ambientale. Punto particolarmente importante per le ulteriori possibilità di sviluppo del turismo italiano, che, intanto, ha fatto registrare, lo scorso anno, un saldo netto della bilancia turistica di oltre 26 miliardi di euro. Dunque, non glissiamo sulla concorrenza, ma chiediamo equità di regole (anche fiscali) nel tempo del confronto con le grandi piattaforme digitali, e pensiamo che, giusto il nesso tra innovazione e produttività, servano politiche pubbliche più “a misura” dei servizi. Infine, concorrenza, equità e innovazione: non è questo il circuito virtuoso che occorre per risolvere positivamente anche la questione delle concessioni demaniali marittime?
Carlo Sangalli (presidente di Confcommercio)

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