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Lettere

La persecuzione degli ebrei in Medio Oriente vista da un ebreo palestinese

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Chi le scrive è a buon diritto palestinese ed ebreo. Mio padre, come mio nonno e mio bisnonno abitavano nella Città vecchia di Gerusalemme dalla metà dell’Ottocento, provenienti dal Marocco. Le lingue usate erano l’arabo, l’ebraico e il Giudeo spagnolo (lingua madre della famiglia che era stata cacciata dalla Spagna nel 1492). Mark Twain nel suo report sulla Terra Santa del 1865 scrive che, salvo le città storiche ebraiche, la terra era desolata e disabitata. Palestina fu il nome assegnato dalle potenze dopo la Guerra mondiale del 1915-18: con l’avvento del mandato a ogni abitante fu dato un documento di suddito britannico. Noi ebrei palestinesi accettammo e poi applicammo la risoluzione 181 dell’ONU, ma alla partenza degli inglesi nel 1948, gli arabi palestinesi, spinti anche dai paesi arabi, attaccarono la popolazione ebraica. A nulla valse, come scritto nella dichiarazione d’indipendenza di Israele, l’invito degli ebrei a cooperare per vivere in pace ecc. (si legga la dichiarazione di indipendenza del 15 maggio 1948). L’obiettivo per gli arabi rimaneva un unico stato arabo palestinese dal Giordano al mare: Gerusalemme vecchia fu invasa dai Giordani e la mia famiglia fu cacciata e costretta ad arrangiarsi altrove. Gli arabi giordani ridussero in macerie tutto il quartiere ebraico e le sue sinagoghe e proibirono agli ebrei di andare in preghiera al Muro del Pianto. Pur sotto l’attacco degli eserciti arabi, gli ebrei palestinesi consolidarono il proprio Stato: gli arabi palestinesi non lo fecero né nel 1948 né negli anni successivi fino al 1967, pur avendo a disposizione il territorio assegnato dall’ONU, occupato illegalmente dai paesi arabi Giordania ed Egitto. La situazione negli altri paesi arabi era molto critica: a Tripoli nel 1945 ci fu un Pogrom violento: molte donne anche gravide furono sventrate e tanti bambini assassinati: mia madre era crocerossina e vide questi barbari assassini con i propri occhi. Nonostante fossimo profughi, noi e nessuno dei 900.000 costretti ad abbandonare i paesi arabi – terre in cui vivevano prima ancora della conquista dell’Islam – non chiedemmo mai lo status di profughi. Se i palestinesi arabi avessero fatto altrettanto, lo status di profugo sarebbe durato una o forse due generazioni e non vi sarebbero tutti quei profughi che l’ONU doveva mantenere. Il fenomeno dei profughi palestinesi non ha eguali in tutta la storia: centinaia e migliaia di profughi furono sempre accolti e inseriti nei paesi in cui erano stati costretti a trasferirsi: la storia europea e quella ebraica sono un buon esempio. I paesi arabi si rifiutarono di integrarli e spinsero gli arabi di Palestina a conservare e a trasmettere alle future generazioni all’infinito il privilegio di essere profughi: l’ONU ha legittimato questo stato di cose, versando dei contributi per mantenere la popolazione, senza avviare un processo di educazione della popolazione stessa perché si liberasse dello status di profughi. La presenza ebraica in quella che spesso viene chiamata Terra Santa è stata costante in tutte le epoche da quando vi arrivò Abramo circa 4.000 anni or sono. Nessuna delle popolazioni che conquistarono quella terra mantenne un rapporto con essa: “L’anno prossimo a Gerusalemme” conclude alcune delle preghiere e dei momenti più importanti della liturgia e della vita ebraica. Nello statuto di Hamas (2017) leggiamo: Hamas rifiuta (art. 20) “qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare”.  Lo storico Claudio Vercelli ha commentato lo statuto scrivendo che la “considerazione” di uno Stato palestinese delimitato a una sola parte dell’area sarebbe solo una tappa intermedia nel cammino verso la “liberazione” di tutto il territorio, non riconoscendo dunque a Israele il diritto all’esistenza né dichiarandosi esplicitamente contro il proseguio degli atti terroristici. I musulmani attraverso le loro istituzioni devono riconoscere che gli ebrei sono loro fratelli, anche se non maggiori, come affermò Papa Wojtyla. Come ebreo palestinese è quanto auspico più ardentemente: spero di trovare arabi palestinesi pronti a confrontarsi per affrontare la verità dei fatti per mettere fine al conflitto e alla sofferenza di tutte le parti.
Mino Babhout, già rabbino del Meridione d’Italia e già rabbino di Venezia e di Bologna

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