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lettere al direttore

La distinzione tra armi difensive e offensive ucciderà gli ucraini

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Sono di ritorno da un viaggio di famiglia in Israele durato qualche settimana, proprio nei giorni in cui il dibattito pubblico si concentrava sulla (dis)attesa azione militare dell’Iran o dei suoi proxy. Premetto che non sono stato a Sderot al confine con Gaza né al confine nord con il Libano. Ho toccato però il cuore delle quotidianità israeliane passando per Gerusalemme, Tel Aviv, Bet Shemesh, Netanya, Ramat Aviv, Herzliya, Raanana. Lì la vita prosegue con entusiasmo, senza paure. Si costruiscono venti grattacieli alla volta, si fa footing sul lungomare a tutte le ore, si litiga, si fa il karaoke nei bar, si manifesta per strada per il recupero degli ostaggi o per la leva militare obbligatoria anche per i religiosi, si studia la prossima pillola della longevità e si studia  il Talmud sulla panchina del parco mentre i piccoli si rincorrono raggiungendo lo scivolo. Per chi viene da fuori, come è stato per me, la distanza fra le tensioni internazionali e la vita di tutti i giorni per le strade è incomprensibile. Nelle prime ore è surreale. Poi si entra – nel mio caso si rientra – nel flusso di questa quotidianità, coinvolti, attratti, risucchiati fisicamente da una spinta verso il bene. Se non ci fosse un wi-fi in zona non sapresti neppure dell’esistenza di una tensione internazionale. Certo, tutti qui sono consapevoli delle proprie responsabilità, del dovere di difendere i propri confini e la propria esistenza.  Tutti hanno un figlio, un parente, una amica che deve tornare dal fronte. Non si scherza. Ma si va avanti a testa alta. E’ il miracolo di una terra che vive a un metro da terra, nonostante tutto quello che succede attorno. Israele vive questa positività, questa pace (sì, questa pace), seppure accerchiata. E ora che sono tornato in Italia, lontano da lì, entro nel paradosso della sensazione opposta. La guerra è lontana, ma è qui che mi devo occupare delle liste di proscrizione contro i sionisti (ebrei e non ebrei). La guerra è lontana, ma è qui che devo controllare mia figlia all’entrata e all’uscita di scuola. La guerra è lontana, ma è qui che devo indossare un cappello in strada per coprire la kippah. E, me lo lasci dire direttore, devo ringraziare il capo della polizia e le istituzioni italiane se vivo una condizione molto migliore dei miei amici ebrei francesi, inglesi, olandesi, belgi, scandinavi. Come devo ringraziare lei e i tanti amici italiani che si battono contro l’antisemitismo e l’antisionismo. Questa Aliyah, questo ritorno ebraico nella terra dei Padri, non è sempre volontaria come è scritto nel suo editoriale di ieri e l’Europa senza i suoi ebrei amputerebbe una parte consistente del suo Dna. Magari un giorno anch’io andrò a vivere a Gerusalemme, ma voglio farlo per scelta intellettuale, religiosa, opportunistica, non per scappare dall’intifada globale. Per ora vivo qui e mi porto da Israele la speranza di normalità, di pace, di progresso, di dibattito e di entusiasmo di cui abbiamo bisogno soprattutto in Europa.

Fabio P.

 


 

Al direttore - “L’Ucraina non può utilizzare nel territorio russo le armi italiane”, ha ribadito il ministro Tajani durante il door step che precede l’inizio del Consiglio Affari esteri a Bruxelles. “Noi abbiamo inviato – ha aggiunto – soprattutto armi difensive e non siamo in guerra con Mosca”. Ha annunciato, infine, che sta per arrivare a Kyiv un poderoso carico di cerbottane, mazzafionde, faretre piene di frecce e addirittura pistole scacciacani. Tutte armi rigorosamente difensive, appunto.
Michele Magno

Lo ribadiamo: la distinzione tra armi difensive e offensive sta lentamente uccidendo gli ucraini. E offrire agli ucraini armi che non possono usare per difendersi a tutto campo significa chiedere agli ucraini di provare a vincere la guerra con le mani legate. Pessima linea. 

   


 

Al direttore - Nell’articolo “Oltre ‘Nessun dorma’ c’è di più”, pubblicato ieri a pagina due del Foglio, ho preso un po’ troppo alla lettera le parole del grande Leone Magiera a proposito della tolleranza di Puccini nei confronti del “Vincerò” allungato a dismisura dai tenori per fare spettacolo. Evidentemente, dal paradiso dei musicisti dove si trovava da un anno e mezzo quando l’incompiuta “Turandot” muoveva i suoi primi passi sui palcoscenici terreni, il compositore non poteva esprimere né tolleranza né censura. Però. E’ anche vero che nel settembre del 1924, due mesi prima della morte, Puccini scrive da Viareggio a Riccardo Schnabl: “E’ partito di qui ora Toscanini e tutte le nuvole sono scomparse. Sono sicuro che ‘Turandot’, nelle sue mani, avrà l’esecuzione ideale”. Vuoi che non abbiano parlato di quel “Vincerò”?
Mario Leone

  


   

Al direttore - In riferimento all’articolo pubblicato in data 29 agosto 2024 dal suo giornale, a firma di Carmelo Caruso, dal titolo “Casa Lollo, vuole lasciarlo anche il suo capo di gabinetto”, sono qui a rappresentarle tutto il mio stupore e, mi lasci dire, un certo disappunto. Non solo la “notizia” che mi riguarda in prima persona è del tutto priva di fondamento, ma il senso generale dell’articolo vergato dal suo cronista è notevolmente lontano, direi anni luce, dalla realtà. Al ministro Francesco Lollobrigida mi lega una profonda stima, basata su un rapporto di reciproca fiducia e per parte mia di sincera lealtà che, in qualità di capo di gabinetto, mi auguro, onorerò ancora a lungo. Così come l’intera squadra di dirigenti e professionisti che compone l’ufficio di gabinetto del Masaf è mossa unicamente dal perseguimento dell’interesse generale e della cosa pubblica. Se solo il dottor Caruso mi avesse interpellato prima di scrivere l’articolo, mi sarei messo a disposizione smentendo le fake news in suo possesso, evitando a lui e al quotidiano il Foglio un simile, grave inciampo. Certo che darà il giusto rilievo alla presente, Le auguro una buona giornata. 
Raffaele Borriello
capo di gabinetto presso il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste

Risponde Carmelo Caruso. Avviseremo i suoi vicini di ministero che quanto ascoltato era solo un film francese. Viva le coppie che credono nel matrimonio (il film era forse “Fino all’ultimo respiro” di Godard?). Saluti dop.