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Lettere al direttore

Quattro domande da farsi sui giornalisti accusati di stupro

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Strano tipo Salvini. Con la sanatoria edilizia si possono cambiare le finestre delle case ma è contrario a cambiare le finestre delle pensioni.
Michele Magno


Al direttore - Ho letto con interesse l’intervista di Sara Giudice, rilasciata al Fatto quotidiano, e ho letto con interesse un passaggio in cui la giornalista ragiona sul senso delle accuse che l’hanno travolta, insieme al compagno Nello Trocchia, giornalista anche lui. Giudice e Trocchia sono accusati di aver fatto violenza a una donna. La procura ha chiesto l’archiviazione, la presunta vittima si è opposta. Il passaggio dell’intervista è questo. Chiede Selvaggia Lucarelli: “Quando leggete l’accusa cosa pensate?”. Risposta: “Ho provato profondo dolore. A me dispiace per lei, ho rispetto sacrale per le vittime di violenza, ho provato dolore per quella bugia. Ero travolta da ciò in cui io stessa credevo. Come se le mie battaglie si fossero ritorte contro. Non voglio fare vittimismo, ma il mio era dolore per quella causa che veniva sminuita”. Una nemesi. Forse ha ragione. 
Lucia Marini

La storia dei giornalisti accusati di stupro è interessante per una serie di ragioni che vale la pena mettere insieme. Punto numero uno: venire a sapere di una notizia di reato senza fughe di notizie, venire a conoscenza di una notizia di reato quando l’indagine si conclude, quando la difesa ha potuto spiegare bene la propria posizione, è o non è un atto di civiltà, che permette di non trasformare gli indagati in colpevoli fino a prova contraria? Punto numero due, corollario del punto numero uno: un paese che ha a cuore il rispetto dello stato di diritto non dovrebbe far di tutto affinché le accuse nei confronti di qualcuno possano diventare pubbliche solo nel momento in cui vi è un giudice che rinvia a giudizio gli accusati? Punto numero tre: non sarebbe preferibile dare spazio alla difesa, all’interno della cronaca giudiziaria dei giornali italiani, anche quando gli accusati, di reati gravissimi, non sono giornalisti amati da coloro che in Italia sguazzano nei pettegolezzi della cronaca giudiziaria? Punto numero quattro: si può considerare come un atto di civiltà assoluta il fatto che si possa considerare innocente fino a prova contraria chiunque, anche chi viene accusato di aver commesso dei reati gravi, anche per capirci chi viene accusato di aver commesso dei reati riconducibili a una sfera, quella del MeToo, che salvo casi eccezionali, come questo, non consente a chi è accusato di potersi difendere e non consente a chi sente puzza di bruciato di poter difendere gli accusati senza ritrovarsi affibbiato al collo l’accusa di amico degli stupratori?


Al direttore - La vicenda dell’“assegno che divide” (come in un titolo del Foglio) è indicativa dell’esigenza di massima trasparenza sui lavori in corso per la manovra 2025, ma anche di una “voce unica” dal lato del governo, obiettivo, quest’ultimo, che appare quasi impossibile da conseguire. Certo, nella critica bisogna attenersi alle decisioni o ai programmi ufficiali, ma se tutto si sfilaccia, si finisce con l’ingenerare il convincimento che poi la critica possa sopravvenire a “cose fatte” e risultare quasi platonica. Uno schema di rapporti maggioranza-opposizione, soprattutto su materie quali la manovra, il bilancio strutturale da inviare a Bruxelles, le principali scelte di politica estera, sarebbe opportuno, ovviamente senza neppure sfiorare il merito dei comportamenti e la rispettiva piena indipendenza.
Angelo De Mattia


Errata corrige. Ieri abbiamo pubblicato la lettera di suicidio di un sopravvissuto del 7 ottobre rivolta a una ragazza stuprata e uccisa da Hamas quel giorno e che lui non aveva salvato: il peso di quell’impotenza, scriveva, gli aveva reso impossibile continuare a vivere. Abbiamo poi scoperto che la lettera non era vera: era stata pubblicata in forma anonima su un gruppo Facebook dei sopravvissuti del Nova Festival e in seguito condivisa su X dall’autore israeliano Hen Mazzig, che aveva detto di non essere riuscito a verificarla ma di considerarla tragicamente plausibile (si è scusato). Channel 13 ha spiegato che, non riuscendo a rintracciare la famiglia dell’autore della lettera, ha avviato un’indagine. L’emittente israeliana è riuscita però a risalire all’utente del post che aveva pubblicato le presunte parole del ragazzo, che infine ha ammesso di averla inventata. Adam Shafir di Channel 13 ha commentato: “Non è chiaro che cosa spinga qualcuno a inventarsi una storia del genere. Sminuire la sofferenza dei sopravvissuti e manipolare le emozioni degli altri è una cosa oscena”.


Al direttore - Il ministro degli Esteri Antonio Tajani dice di non capire “come si possa fare polemica sulla posizione italiana” sull’Ucraina, che definisce “assolutamente equilibrata e responsabile”. Poi argomenta: “Siamo con l’Ucraina senza se e senza ma. Abbiamo fornito aiuti militari, politici e umanitari, con ben nove pacchetti di provvedimenti”, ma “non siamo in guerra con la Russia. Che autorizzazione diamo, a bombardare Mosca? Quale sarebbe il limite? Senza propaganda, bisogna essere seri, evitando ogni possibile escalation”. Ecco, se proprio si vuol essere seri, bisognerebbe comprendere che nessuno ha mai chiesto di autorizzare Kyiv a bombardare Mosca con le armi fornite dall’occidente, Italia compresa, anche perché non è da Mosca che partono gli attacchi. Si chiede semplicemente di poter usare quelle armi per colpire obiettivi militari in territorio russo, così da neutralizzare gli attacchi che partono dal confine. Questo sarebbe “il limite” che non appare chiaro a Tajani. Quanto all’escalation, di presunte “linee rosse” fissate da Putin per evitarla, ne sono state superate ormai a decine, senza che ciò abbia portato allo scontro diretto Nato-Russia o al lancio di bombe atomiche, ormai nemmeno più minacciato. Se davvero si vuol essere  seri, dunque, si prenda atto dei fatti e si agisca di conseguenza, assumendo una posizione davvero “responsabile”. E probabilmente le polemiche sull’incomprensibile linea italiana, che Tajani fatica a comprendere, spariranno in men che non si dica. 

Luca Rocca

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