Elly Schlein - foto Ansa

Lettere

Su economia e politica estera il Pd sembra la costola di M5s e Lega

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – Il G settete della cultura.
Giuseppe De Filippi

Cucù!
 



Al direttore – La verità, vi prego, sul sindacato italiano. Accade sempre più spesso di leggere lunghe riflessioni  sul mondo del lavoro accompagnate da duri giudizi sulle responsabilità delle organizzazioni chiamate a rappresentarlo. Raramente sono articoli ben scritti, magari polemici, ma ricchi di spunti pensati per stimolare un dibattito. E’ il caso del lungo pezzo di Cingolani pubblicato su queste colonne. Un articolo in cui si riconosce un piglio costruttivo, tuttavia un po’ forzato nell’adattare in una griglia indifferenziata vocazioni e modelli sindacali diversi, come sono – per fortuna – quelli presenti in Italia. I distinguo non mancano, beninteso, e di questo ringraziamo l’autore. Si poteva però calcare un po’ più il tratto, indicando per esempio le differenze che, di fronte a una generalizzata crisi della rappresentanza sociale, politica, istituzionale, distinguono soggetti riformisti da altri più votati al conservatorismo. Nel periodo analizzato, diciamo dal 2012 fino ai giorni d’oggi, questa netta distinzione ha prodotto proposte, strategie e azioni diverse su un ampio ventaglio di questioni. Nell’approccio alle trasformazioni del mercato del lavoro (si pensi solo alle diverse valutazioni su articolo 18 e Jobs Act); nel giudizio su leggi che intervengono sulla misurazione della rappresentanza e sulle relazioni industriali; nel porre l’accento sull’esigenza di aggiornare e innovare contenuti e modelli contrattuali; nell’idea di una politica dei redditi e dei salari che per alcuni altro non richiede se non un salario minimo. Per non parlare della capacità di affrontare il trauma storico del superamento della netta divisione in classi sociali, dinamica accelerata dalla fine della Prima Repubblica, e – vorrei dire conseguentemente – del diverso modo di interloquire e rapportarsi con la rappresentanza politica e istituzionale. Siamo all’incrocio di tre delle quattro crisi di cui parla l’autore: sociale, economica, politica. Le posizioni della Cisl penso siano chiare su ognuno di questi grandi temi, come pure su molti altri argomenti (penso al rifiuto di un approccio totemico e apocalittico sulle riforme costituzionali, solo per fare un esempio). Non sta a noi, chiaramente, fare scontate autodifese. Ma è fondamentale capire e ben rappresentare anche a livello mediatico queste due visioni alternative, presenti non da oggi nel panorama sindacale. In questo senso, la  dicotomia proposta da Cingolani tra sindacato dei diritti e sindacato dei salari mi sembra insufficiente, ancora troppo legata a schemi novecenteschi. Meglio risolvere le due polarità nella formula “sindacato della partecipazione”. Ovvero un movimento del lavoro che non si accontenta solo di rivendicare, anche con strumenti conflittuali, avanzamenti e progresso. Ma intende pure e soprattutto prendere in mano il proprio destino, in autonomia,  responsabilizzandosi dentro e fuori i luoghi di lavoro. Dentro le fabbriche: per innovare l’organizzazione nei luoghi di produzione. Per contribuire ad aumentare la produttività e redistribuirla sulle buste paga, per investire su formazione e crescita delle competenze, su welfare contrattuale. Per radicare gli investimenti sui territori ed elevare innovazione e tecnologia nelle aziende. Per attivare forme di flessibilità contrattate e impedire licenziamenti e cassa integrazione. Per monitorare rispetto delle regole e dei contratti, procedure su salute e sicurezza, legalità. Ma anche fuori dai luoghi della produzione, attraverso rappresentanze di categoria e confederali capaci di elaborare e dialogare con i decisori pubblici, secondo una nuova e agile impostazione concertativa. E’ l’antidoto per rispondere alla quarta criticità di Cingolani, quella culturale. Che richiede una massiccia iniezione di democrazia economica, di civismo, di coinvolgimento profondo dei corpi intermedi e delle parti sociali riformiste nel nostro paese. Troppa sofisticazione? Il popolo non capisce? Invece sì. E lo dicono i numeri. Quelli della Cisl, per esempio, cresciuta negli ultimi tre anni di circa 110 mila associati, 53 mila solo l’anno scorso. Parliamo di lavoratori attivi nel pubblico e nel privato tra cui tantissimi giovani e donne. Le comunità lavorative sono vive, vigili, presenti, come indica anche l’elevatissimo tasso di partecipazione alle elezioni delle Rsu pubbliche e private, che surclassa un voto politico flagellato dall’astensione. La strada della transizione è lunga, certo. Ma evidentemente questi sindacati, almeno alcuni di essi, riescono ancora – o di nuovo – ad avere presa, grip, rappresentanza, nel mondo che cambia. Ci vuole coraggio, anche il coraggio dell’impopolarità, sicuramente quello dell’anti populismo. E bisogna non avere paura del riformismo. Perché come diceva Tarantelli, la gente capisce sempre.

Luigi Sbarra, segretario generale Cisl
 



Al direttore –  Se il nero della Turingia fa apparire la Meloni come la “Donna della Provvidenza” (e son d’accordo!), tale si può considerare Kamala di fronte a Trump. Se poi dovesse mai vincere, diremo: “Desunta dal Cielo”.

Serafino Penazzi
 



Al direttore – Dunque, dopo la netta, e ribadita, presa di posizione del governo italiano sull’utilizzo delle armi fornite a Kyiv solo in territorio ucraino, Elly Schlein si allinea affermando che, sul punto, non si sente di esprimere critiche, in quanto, spiega, occorre stare attenti “a non fare atti che potrebbero portare direttamente l’Ue in conflitto con la Russia”. E intanto, nelle stesse ore, il leader del M5s al Senato, Stefano Patuanelli, ha sostenuto che “l’Ucraina senza un supporto militare che va avanti da 28 mesi senza risultati sarebbe costretta a trattare” (sic!). Ecco, ancora un passettino, un altro piccolo sforzo, e la pessima convergenza di governo e Pd verso il M5s sull’Ucraina è compiuta.

Luca Rocca
 

Più passa il tempo e più la linea del Pd, sull’economia e sulla politica estera, somiglia spesso non solo a quella del M5s ma anche a quella della Lega. Cercansi disperatamente riformisti democratici desiderosi di non trasformare la dottrina del Pd, in politica estera e in politica economica, in una costola dei vecchi populisti italiani.

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