Yahya Sinwar (laPresse) 

Lettere

Per un accordo, le pressioni andavano fatte su Hamas e i suoi sponsor anziché su Israele

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Da qui al 7 ottobre, un pezzetto di “Statuto di Hamas” al giorno: “Non ci sarà alcun riconoscimento della legittimità dell’entità sionista. Qualsiasi cosa sia accaduta alla terra di Palestina in termini di occupazione, costruzione di insediamenti, giudaizzazione o modifica delle sue caratteristiche o falsificazione dei fatti è illegittima. I diritti non decadono mai”.
Andrea Minuz

“Inspiegabilmente, mentre alcuni degli ostaggi erano ancora in fase di sepoltura, invece di scatenare la sua rabbia contro Hamas e i suoi sponsor statali, la comunità internazionale ha scelto di aumentare la pressione sullo Stato ebraico. Nemmeno nei suoi sogni più sfrenati il leader di Hamas, Yahya Sinwar, avrebbe potuto immaginare una cosa del genere. Israele ha ripetutamente offerto concessioni strategiche e di sicurezza senza precedenti per liberare gli ostaggi rimasti e ottenere una pausa nelle ostilità, ma l’unica costante è stata l’intransigenza e il rifiuto di Hamas, nonché la mancanza di spina dorsale morale da parte della comunità internazionale per ritenerlo responsabile. Se la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, volesse realmente promuovere un accordo per il rilascio degli  ostaggi, potrebbe farlo chiedendo agli alleati americani, come il Qatar e la Turchia, di usare tutte le leve a loro disposizione per fare pressione su Hamas affinché accetti un accordo. Forse se la comunità internazionale avesse dedicato una frazione dell’energia che impiega nel fare pressione su Israele affinché facesse ulteriori concessioni, esercitando invece una pressione inflessibile su Hamas e sui suoi sponsor statali, in primis Qatar, Turchia e, naturalmente, Iran, avremmo già potuto raggiungere un accordo e salvare innumerevoli vite”. Arsen Ostrovsky e Asher Fredman ieri su Newsweek. Free Gaza from Hamas. Perfetti. 


Al direttore - Stiamo vivendo rapide trasformazioni: cambiamento climatico, complessità geopolitica, transizione energetica, digitalizzazione e automazione stanno rivoluzionando l’ordine socio-economico, e settori come l’agroalimentare sono in prima linea. In Italia, queste sfide richiedono un cambio di paradigma produttivo. Il sistema camerale italiano, che ho l’onore di rappresentare, vuole essere un driver per supportare le Pmi nell’innovare, riducendo l’uso di risorse e limitando gli sprechi, senza compromettere la redditività. L’agroalimentare coinvolge non solo la produzione, ma anche i servizi, la logistica, il turismo e l’artigianato. Tuttavia, il 2023 è stato un anno ambivalente per la produzione agricola: sebbene il valore sia cresciuto a 73,5 miliardi di euro (+2,7 per cento sul 2022), il volume di produzione è diminuito del 2,4 per cento a causa di condizioni climatiche estreme. Le imprese agricole stanno comunque reagendo: tra il 2020 e il 2022, il 58,5 per cento delle imprese ha investito in tecnologie per l’efficientamento energetico e idrico, nel Mezzogiorno  si arriva al 66,2 per cento. Tuttavia, serve fare di più e più velocemente. Il sistema imprenditoriale deve essere protagonista nelle politiche di sviluppo, contribuendo a indicare le direzioni da intraprendere. Nonostante gli sforzi dell’Europa per sostenere la transizione digitale e ambientale, e i vari aiuti finanziari già in essere, le imprese sono ancora troppo spesso considerate solo terminali delle politiche, mentre dovrebbero essere co-creatrici delle strategie. Serve un approccio più proattivo, per sfruttare al meglio le tecnologie e le opportunità offerte dal mercato. Per realizzare tutto questo, è fondamentale che il governo si impegni con determinazione nel creare un ambiente favorevole all’innovazione e alla crescita delle imprese agroalimentari. Implementando politiche di sostegno finanziario e fiscale, facilitando l’accesso ai mercati internazionali, investendo in infrastrutture moderne e resilienti e promuovendo una formazione continua per mantenere le imprese al passo con le innovazioni tecnologiche. Solo attraverso un forte impegno istituzionale, in sinergia con le imprese e il territorio, l’Italia potrà consolidare la sua leadership nel settore agrifood a livello globale e affrontare con successo le sfide del futuro. Ne parleremo, tra l’8 e il 10 settembre ad Agrifood Future, a Salerno, e al centro c’è un tema cruciale per noi: proiettare le eccellenze italiane sui mercati internazionali trasformando la globalizzazione e l’innovazione non in una minaccia ma in un’opportunità per il futuro. E’ ora di avere coraggio.
Andrea Prete, presidente di Unioncamere
 

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