Lettere
Cosa ha fatto Israele per gli Stati Uniti. Cercapersone attivato?
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Da qui al 7 ottobre, un pezzetto di “Statuto di Hamas” al giorno. “Il jihad non è limitato a portare le armi e affrontare militarmente il nemico. La parola buona, l’articolo eccellente, il libro utile, sostengono e aiutano dal canto loro il jihad per la gloria di Allah, fino a quando le intenzioni sono sincere e si intende fare della bandiera di Allah il vessillo più alto”.
Andrea Minuz
Aggiungerei, accanto a un pezzetto di statuto al giorno, anche qualche chicca di Bibi ogni giorno, da qui al 7 ottobre. Per esempio questa. Congresso degli Stati Uniti del 24 luglio 2024: “Per decenni, l’America ha fornito a Israele una generosa assistenza militare e Israele, con gratitudine, ha fornito all’America informazioni critiche che hanno salvato molte vite. Abbiamo sviluppato congiuntamente alcune delle armi più sofisticate sulla Terra. Scelgo le mie parole con cura: abbiamo sviluppato congiuntamente alcune delle armi più sofisticate sulla Terra, che aiutano a proteggere entrambi i nostri paesi. E aiutiamo anche a tenere gli stivali americani lontani, proteggendo al contempo i nostri interessi comuni in medio oriente”. Cercapersone attivato?
Al direttore - Se Israele uccide il capo di Hamas provoca un’escalation; se ammazza uno dei leader di Hezbollah, idem; se lancia bombe contro le cellule di Hamas a Gaza rischia di provocare un allargamento del conflitto; se elimina decine di membri di Hezbollah piazzando esplosivo nei cercapersone di nuovo escalation. Se gli Stati Uniti colpiscono gli houthi, ancora peggio per le sorti del mondo; e se l’Ucraina penetra nel territorio di Kursk, siamo quasi alla Terza guerra mondiale. Leader del mondo libero, alzate le mani, non muovete un dito, non reagite e arrendetevi. Questa, in definitiva, è la soluzione proposta dalle anime belle.
Luca Rocca
Al direttore - Mario Draghi, con il rapporto sulla competitività europea che ha presentato alla seduta plenaria del Parlamento dell’Unione (il 17 settembre), merita di essere definito un vero e proprio stratega: egli è certo un politico e uno statista di valenza mondiale e, dunque, non solo un pensatore di economia e finanza. Draghi, però, è anche uno stratega, quantunque egli mai si definirebbe tale. A mio parere, la differenza tra un politico e uno stratega è che il primo pensa e opera prevalentemente nella dimensione del presente, mentre il secondo volge lo sguardo al passato lontano e recente per proiettare l’oggi nel futuro della comunità di destino (Italia, Ue) della quale si sente parte, rappresentante e, in circostanze specifiche, anche leader. Ecco perché mentre uno stratega può essere anche un buon politico, un politico non è affatto detto che sia uno stratega, che sappia cogliere ed essere l’interprete di una strategia. Tutto questo – a mio parere – esprime il Rapporto Draghi, a ben vedere. E oggi in Italia abbiamo certo dei politici, ma nessuno stratega e, dunque, nessun leader degno di tale nome.
Alberto Bianchi
Al direttore - In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera (16 settembre), Massimo D’Alema ricostruisce il prima e il dopo della guerra in Kosovo (1998-1999). E’ una preziosa pagina di storia, anche se in qualche passaggio l’allora presidente del Consiglio si descrive quasi come il vero regista dell’intervento della Nato, con Clinton, Blair, Chirac e Schröder a pendere dalle sue labbra. Ma non è questo il punto. D’Alema ricorda che durante il conflitto nessuno sostenne che la Serbia doveva essere sconfitta: “Noi ripetevamo che la pressione militare era volta a indurre la Serbia a ritirare le sue truppe dal Kosovo e a proteggere la popolazione. Lo spiegai agli americani”. Se penso a ieri e guardo a oggi, si chiede poi, dov’è finita la politica? L’oggi, ovviamente, è la guerra in Ucraina che “nessuno può vincere”. Qual è quindi la via d’uscita, gli domanda Francesco Verderami, la perdita di una parte del suo territorio? Qui casca l’asino: “Ma il Kosovo non era un pezzo della Serbia? A decidere fu il popolo kosovaro. Forse anche ora, sotto tutela internazionale, potrebbero essere alla fine i cittadini del Donbas a decidere”. Nonostante la prudenza di quel “forse”, D’Alema sembra infatti dimenticare quanto affermato poche righe sopra, e cioè che il popolo kosovaro poté decidere solo dopo la fine dell’occupazione serba. Inoltre, sorvola su un piccolo dettaglio, ossia che le regioni del Donbas conquistate sono state annesse da Putin alla Russia. Insomma, la proposta di un referendum senza il ritiro dell’esercito di Mosca e del decreto di annessione del Donbas somiglia a una barzelletta. Va bene la “politique d’abord” ma qui si ciurla nel manico, tra sviolinate alla Cina di Xi Jinping e lobbismo nel business delle armi.
Michele Magno