Lettere

Nobel per costruttori di pace o per apologeti dei costruttori di guerra?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nella Sunan Ibn Majah, una delle sei maggiori collezioni di hadith, si dice in una narrazione hasan (buona) che a ogni uomo ammesso in paradiso saranno donate delle erezioni eterne e sarà sposato a 72 mogli, tutte con organi sessuali libidinosi. Ottantenne con impotentia coeundi, quasi quasi mi converto.

Michele Magno


Al direttore - Siamo tutti israeliani, come siamo stati tutti francesi dopo il Bataclan e americani dopo l’11 settembre e ucraini e di tutte quelle nazioni che hanno subito attacchi profondi ai loro valori di democrazia e libertà che sono anche i nostri, anche se molti tendono a dimenticare e minimizzare. Me ne ricorderò alle prossime elezioni.


Domizio Baldini

A proposito di Israele. Vale la pena notare che tra i candidati per il premio Nobel per la Pace quest’anno ci sono l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, la Corte internazionale di giustizia e il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Ieri il Wall Street Journal ha offerto ulteriori elementi di riflessione, per ragionare sul tema. Le sentenze della Corte internazionale, per come sono costruite, negherebbero in linea teorica a Israele il diritto di intraprendere azioni militari per difendersi e liberare gli ostaggi ancora detenuti da Hamas. Tali sentenze, tra l’altro, nota sempre il Wsj, “si basavano in parte su prove fornite dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa), l’organizzazione permanente delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi”. Ad agosto, come se non bastasse, un’indagine delle Nazioni Unite ha riconosciuto che nove membri dello staff dell’Unrwa potrebbero essere stati coinvolti nel massacro del 7 ottobre e Israele ha fornito prove convincenti che il coinvolgimento fosse più ampio. Guterres, a sua volta, è stato nominato “per il suo coraggio personale e la sua integrità di fronte alle guerre in Ucraina e a Gaza”. Coraggio, già. Il 9 ottobre 2023, prima che alcune vittime di Hamas fossero sepolte, Guterres ha affermato che la violenza di Hamas “non è arrivata dal nulla”, ma è invece cresciuta da un “conflitto di lunga data, con un’occupazione lunga 56 anni e nessuna fine politica in vista”. Giusta conclusione del Wsj: le realtà in questione non sono costruttori di pace, ma sono apologeti dei costruttori di guerra. Buon Nobel a tutti.



Al direttore - Le persone oneste e di buona volontà conoscono la storia di Israele, le umiliazioni, gli atti discriminatori e di razzismo, le violenze di cui le comunità ebraiche sono state vittime diversi anni prima del 1947. Sanno della prima guerra d’indipendenza combattuta e vinta contro gli eserciti arabi aggressori a poche ore dalle celebrazioni della nascita del piccolo stato ebraico. Delle guerre di autodifesa che Israele, suo malgrado, ha combattuto contro la barbarie dei suoi nemici, determinati a eliminarlo. Chi sa non si lascia trascinare dall’ondata di antisemitismo che sta travolgendo il mondo, chi non sa, prima di gettare la croce su Israele perché risponde agli attacchi, farebbe bene a tacere. A un anno dal 7 ottobre, una piccola Shoah ha sorpreso e sconvolto Israele che si è convinto che solo l’eradicazione di Hamas  e la distruzione delle belve del terrorismo al servizio degli ayatollah iraniani può garantire la vita in sicurezza dei suoi cittadini. Una democrazia contro una teocrazia sanguinaria e i suoi proxy. Israele combatte anche per noi. Lo meritiamo? Cosa abbiamo fatto, o piuttosto cosa avremmo dovuto fare per dimostrare, senza tentennamenti, la nostra vicinanza e solidarietà? Non abbiamo invece messo a nudo il nostro egoismo, la nostra indifferenza, la nostra pavidità, la nostra ambiguità morale? Aggiungo, approvare le operazioni militari di Tsahal a Gaza, in Libano e ovunque Israele decida, dovrebbe dipendere non dall’essere noi democrazie come Israele e quindi passibili degli stessi attacchi un domani che Israele, roccaforte della libertà in medio oriente, dovesse soccombere, ma dalla convinzione che Israele ha un solo modo per sopravvivere: sconfiggere i suoi nemici. Viva Israele!

Rita Faletti

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