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Diplomazia e forza contro Hezbollah. Il resto sono chiacchiere

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Dal 7 ottobre 2023, quando ho perso degli amici, ma soprattutto ho assistito all’orrore inenarrabile di un brutale massacro, mi sono dedicata con tutta me stessa a cercare di documentare. Ho imparato a fare docufilm amatoriali per parlare del dolore intenzionale, della storia per avere una chiave di lettura. Ho scritto articoli, organizzato manifestazioni, affissioni per ricordare gli ostaggi, le donne stuprate. Ma il mondo oggi è rovesciato. Sono stata chiamata nazista, io che per caso della vita sono ebrea. Ho visto antisionismo e antisemitismo diventare una cosa sola. La propaganda diventare storia, la narrazione divenire verità.  E davanti a tanta ignoranza, davanti a tanto lavaggio del cervello, davanti a un mondo che sta favorendo un racconto in cui i terroristi sono le vittime e 1.400 persone bruciate vive, stuprate e 250 rapite, sono i carnefici, capisco che si è persa la bussola morale. Non arretrerò di un passo, metterò i miei orecchini a stella di Davide, nella paura dei miei genitori, ma nella consapevolezza che, nel mio piccolo, anzi nel mio minuscolo, non lascerò che la storia si ripeta stando in silenzio.

Federica Iaria

A proposito di aggrediti e aggressori. Ieri, come spesso capita, il Wsj ha colto un punto e parlando di Hezbollah ha notato quanto segue: finché i terroristi non fermeranno il lancio di razzi verso Israele, la diplomazia sarà infruttuosa. E quando un gruppo di terroristi diventa fuori controllo ciò che non si può fare con la diplomazia, a volte, occorre farlo con la forza. E per usare la forza, nel Libano meridionale, e far arretrare i terroristi più a nord del Litani, al di là del confine individuato nel 2006 anche dalle Nazioni Unite, bisogna accettare il fatto che oggi non sono i campioni di Unifil coloro che possono garantire la sicurezza di Israele. Diplomazia e forza. Il resto sono chiacchiere.


Al direttore - Già pochi anni addietro destò grande preoccupazione il bando delle immatricolazioni di auto con motore a combustione interna. Oggi un altro provvedimento rischia di aggiungere una tessera a tinte fosche a un mosaico già non roseo. E’ di pochi giorni fa la notizia di un probabile dazio sulle importazioni di automobili cinesi, verosimilmente elettriche. Per comprendere le implicazioni negative di un provvedimento del genere, è necessario premettere che già oggi le case automobilistiche europee sono focalizzate su veicoli in una fascia di prezzo medio-alta, mentre i produttori cinesi pianificano di soddisfare la domanda della classe media ed eventualmente di quella con minori disponibilità economiche. Ci sarebbero due implicazioni negative derivanti dall’introduzione del dazio. Innanzitutto, in assenza di un’espansione significativa dell’offerta europea, si osserverà un incremento dei prezzi delle auto rivolte a una clientela media, quella parte della domanda che, per volume, è quella essenziale ai fini del raggiungimento degli obiettivi ambiziosi della transizione ecologica. In seconda istanza, in presenza di un bando delle auto con motore a combustione interna nel 2035, non solo il segmento di mercato dei consumatori con disponibilità a pagare medio-bassa si troverà in uno stato di significativa sofferenza, ma una parte importante del mercato europeo dell’auto potrebbe subire una contrazione che non possiamo permetterci, data l’importanza del settore. In definitiva, il dazio proposto aumenterebbe le diseguaglianze, come troppo spesso sta accadendo a causa di politiche green spericolate, e paradossalmente rallenterebbe il percorso di decarbonizzazione della mobilità, dati i prezzi elevati dei veicoli. Questa politica commerciale azzardata potrebbe produrre risultati apprezzabili solo nel caso in cui vi fosse una credibile e coordinata politica industriale di promozione della produzione europea di veicoli elettrici di massa, una possibilità invero remota, data la scarsa visione e la frammentarietà del processo decisionale a cui l’Unione europea ci ha abituato.

Marco Percoco, Università Bocconi
 

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