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Lettere

Perché i conflitti sull'immigrazione si risolvono sempre in Europa

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Come le autorità sanitarie di Gaza (cioè di Hamas), anche l’Unrwa (molto vicina a Hamas) parla di oltre quarantamila morti nella Striscia, “per lo più civili”. Nel mainstream giornalistico e televisivo quel pudico codicillo scompare, e diventano solo civili. Dal bilancio delle vittime spariscono quindi i terroristi – di tutte le età e di entrambi i sessi (da quelle parti il gender fluid non va di moda) – caduti sotto le bombe e negli scontri con l’Idf. Il ministero della Difesa israeliano, dal canto suo, stima in circa quindicimila i brigatisti di al Qassam eliminati. I civili palestinesi che hanno perso la vita, quelli ai quali Yahya Sinwar ha sempre negato riparo nei tunnel chilometrici costruiti con i denari degli aiuti umanitari,  sono tuttavia molte migliaia. Sono troppi? Certo, perché in una guerra anche uno solo è troppo. Perché, allora, si gonfia il loro numero? Il motivo è evidente: per traumatizzare l’opinione pubblica, alimentare la campagna di odio verso lo stato ebraico e accreditare gli slogan della pulizia etnica e del genocidio, scanditi nei cortei antisemiti del “from the river to the sea”. Caro Cerasa, è assai triste che buona parte dell’informazione abbia rinunciato alla verifica puntigliosa dei fatti e delle fonti per valutare la fondatezza di notizie e affermazioni, che poi si rivelano spesso clamorose fake news. Oggi in Italia abbondano i giornalisti e i geopolitici, più o meno sedicenti, che giocano sporco sul conflitto in medio oriente, incuranti del celebre monito di Gaetano Salvemini: “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti, cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità un dovere” (Prefazione a “Mussolini diplomatico”, 1932).
Michele Magno



Al direttore - La Costituzione della Repubblica all’art. 10 sancisce: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Anche sulla base dell’art. 10 della Costituzione l’Italia ha ratificato numerosi trattati di soccorso in mare e del successivo diritto di asilo. L’Italia sta nell’Unione europea e accetta la giurisdizione europea in forza sempre dell’art. 10. In quel quadro giuridico non ci sono decreti che tengano per limitare o bloccare l’immigrazione. Per bloccare l’immigrazione legale o illegale il governo dovrebbe cominciare con una modifica della Costituzione che abroghi il diritto di asilo di cui all’art. 10. Ne seguirebbe un referendum sul quale sarebbero gli italiani a pronunciarsi. Se il risultato del referendum fosse per l’abolizione del diritto di asilo, l’Italia potrebbe denunciare i trattati firmati nel tempo. Potrebbe essere che a quel punto l’Italia debba uscire dall’Unione europea e forse non sarebbe una iattura. Non era questo il programma del centrodestra e di molta parte dell’ultrasinistra?
Bruno Gilioli


Ci sono vie decisamente meno traumatiche e più fattibili. Vie europee. Ieri mattina, ad “Agorà”, il numero uno dell’Anm, Giuseppe Santalucia, ha offerto un suggerimento al governo che forse varrebbe la pena considerare. Santalucia ha detto che “un regolamento dell’Unione europea darà più spazi interpretativi”, rispetto al tema della definizione dei paesi sicuri. Quel regolamento è il Patto sull’asilo e sui migranti, che entrerà in vigore nel 2026. “Se l’Italia – dice Santalucia – ritiene che questo regolamento vada anticipato si faccia promotrice nell’Unione europea”. Per anticipare l’entrata in vigore serve una modifica legislativa e un accordo di Parlamento europeo e Consiglio. Rivendicare il diritto di avere l’ultima parola sulle proprie politiche migratorie è giusto, ma ricordarsi che le soluzioni ai conflitti, anche quelli innescati dall’Europa attraverso la Corte europea, si trovano sempre in Europa potrebbe aiutare a capire come impiegare meglio le proprie risorse e le proprie energie.

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