Lettere
Da Trump all'Italia, demonizzare l'avversario non funziona
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - La tendenza alla radicalizzazione estrema è una caratteristica della politica attuale che è ben conosciuta dai sociologi che si occupano dell’argomento, e non riguarda soltanto la destra, ma al contrario, ha i risvolti più preoccupanti nella sinistra che è assolutamente incapace di proporre progetti politici, preferendo piuttosto invocare le rivolte, la ribellione e la contestazione anche nelle forme più violente (ma sempre giustificate in nome della giusta causa). L’elezione di Trump ricade perfettamente in questo quadro, e infatti anche in Italia non sono mancate le solite demonizzazioni che non accettano il risultato democratico delle elezioni. Curiosamente, se è Trump a non accettare il risultato delle elezioni viene additato come “fascista”, ma se lo contestano i politici di sinistra e gli intellettuali al loro seguito, allora sono “difensori della democrazia”. Insomma, le elezioni sono valide e riconosciute soltanto se il risultato è favorevole alla tua parte politica. Bel concetto di democrazia, direi che merita una definizione, del tipo “democrazia unilaterale” (i diritti valgono solo per la tua parte politica). Ma ciò che è più sorprendente, e non si vuole vedere, è il processo di demonizzazione dell’avversario politico, che sta raggiungendo livelli indicibili. Insomma, ormai il linguaggio politico è sempre più simile a quello religioso, trasformando gli avversari in diavoli, e invocando perciò esorcismi e rituali esoterici. Un esempio lampante è fornito da Elly Schlein, che non è minimamente in grado di contenere le sue intemperanze, e descrive gli avversari politici come demoni da annientare, cancellare, far sparire. Ovviamente il culmine si raggiunge con la demonizzazione di Trump, che intelligentemente sfrutta l’ingenuità dei suoi avversari per amplificare i suoi difetti, trasformandoli in tratti caratteriali vincenti. Quindi la sinistra è talmente stupida da non capire che il male, nella cultura occidentale, ha sempre avuto un fascino e una capacità di attrazione sorprendenti (è sufficiente ricordare ciò che scrisse Charles Baudelaire in proposito). Ed è così che creando i suoi demoni la sinistra finisce sempre per essere sconfitta.
Cristiano Martorella
Il punto, gentile Cristiano, non è la demonizzazione di Trump, che nelle sue premesse è certamente una minaccia per una democrazia liberale (il gioco dell’al lupo al lupo funziona così: dopo aver denunciato per tante volte una minaccia che non c’era, una volta che quella minaccia arriva non sei più credibile nel denunciarla). Il punto è che una politica che è costruita solo sulla demonizzazione dell’avversario non funziona. Non ha funzionato in America, non funzionerà in Italia.
Al direttore - Gentile dottor Stagnaro. Grazie per l’analisi ed ecco qualche riflessione sulla sua proposta per i taxi. Non è necessario adottare una posizione così drastica, passando da un estremo all’altro: il mantenimento di tariffe rigide o come unica alternativa la completa liberalizzazione delle licenze taxi. Noi ci collochiamo in una posizione intermedia. Gli Ncc insegnano che è possibile flessibilizzare o liberalizzare le tariffe senza liberalizzare anche le licenze: il servizio taxi deve rimanere regolamentato, poiché una liberalizzazione totale comprometterebbe le tutele per i consumatori. Il taxi è un servizio pubblico con obblighi specifici per il tassista, che incidono negativamente sul suo reddito e che, in assenza di contributi pubblici, viene “compensato” con il limite delle licenze. Egli non può rifiutare una corsa antieconomica: ha l’obbligo di prestazione; deve rispettare le turnazioni, rimanendo in piazza anche quando non gli conviene; deve rispettare il tariffario del comune, misurato col tassametro. Da tempo sosteniamo che in città come Roma e Milano il numero di licenze taxi va incrementato. Ma raggiungere altre città europee – con norme diverse e con un trasporto pubblico migliore; con viabilità con maggiore capacità e politiche più stringenti sul traffico – sarebbe irrazionale. Una riforma che sfrutti la tecnologia sarebbe un compromesso, con base fissata dai comuni e una flessibilità controllata nelle tariffe, che si modulerebbero entro certi limiti a facilitare l’incontro tra domanda e offerta. Sarebbe una soluzione facoltativa sia per i tassisti sia per gli utenti, ma vantaggiosa per entrambi: gli utenti troverebbero più facilmente un taxi nei picchi e pagherebbero meno nei momenti di “morbida”; i tassisti attrarrebbero più clienti in quei periodi, diminuendo i tempi improduttivi, per un servizio più accessibile. Eviteremmo la situazione attuale, in cui si vedono tassisti fermi ai posteggi nei tempi morti, e lunghe code nei picchi: un modello insoddisfacente per tutti. Una “flessibilità regolata” è non solo possibile, ma auspicabile per il mercato e il servizio pubblico taxi. Con stima.
Loreno Bittarelli, presidente It Taxi e Unione dei Radiotaxi d’Italia
Risponde Carlo Stagnaro. Ringrazio Loreno Bittarelli per la sua risposta. Bittarelli suggerisce di evitare soluzioni estreme e ragionare su “una riforma che sfrutti la tecnologia”. Quello che propone, però, non è un “compromesso”: è di fatto un aumento dei prezzi nelle ore di picco, a parità di offerta. Lasciare le tariffe libere di fluttuare verso l’alto quando la richiesta è massima è sensato; farlo senza alcun adeguamento dell’offerta no. Una possibile via d’uscita per mitigarne gli effetti negativi, tecnologia alla mano, potrebbe essere consentire agli Ncc di accettare passeggeri attraverso le app senza rientrare in rimessa, senza dover attendere 20 minuti tra un viaggio e l’altro e su tutto il territorio nazionale.