le lettere
L'incoerenza della destra sul nucleare è sintomo di poco coraggio
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Gli Stati Uniti a Baku annunciano un programma di 200 nuove centrali nucleari, mentre Microsoft fa un accordo per riaprire Three Miles Island, chiusa molti anni fa a causa di un incidente, per rifornire i suoi data center. La Cina ha in costruzione una cinquantina di reattori e conquista la leadership in questa tecnologia insieme a russi e coreani (del sud). Persino paesi ricchi di risorse energetiche come l’Arabia Saudita realizzano in pochi anni migliaia di megawatt nucleari a costi assolutamente competitivi. E l’Italia? Giorgia Meloni, uno dei pochi capi di stato presenti a Baku, in un discorso per molti versi equilibrato che fa della neutralità tecnologica il caposaldo per decarbonizzare il mondo, cita varie tecnologie fra cui… il nucleare da fusione. Cioè una tecnologia che ancora non esiste. Mentre in Italia il suo ministro sostiene la necessità di un contributo importante dell’energia nucleare alla decarbonizzazione del sistema elettrico italiano, ma lo affida a tecnologie “di nuova generazione” che ancora devono essere sperimentate in campo. Palla lunga, lunghissima insomma pur di non giocare la partita vera e fare riferimento alle tecnologie nucleari già esistenti e su cui si fa affidamento in tutto il mondo, Persino l’Unione europea dopo anni di tentennamenti ha dovuto prendere atto del lavoro del suo Joint Research Center che ha dichiarato le tecnologie esistenti in campo nucleare come assolutamente sicure e necessarie per la decarbonizzazione. La lezione subita dopo l’inizio della crisi ucraina e le necessità di mettere in sicurezza il sistema energetico italiano non sembrano essere servite a molto. Affidarsi solo alle rinnovabili prevedendone per altro la realizzazione di quantità e in tempi ambedue chiaramente non realistici non soddisfa nemmeno più l’opinione pubblica sempre più insofferente dell’invadenza di molti di questi impianti. Forse un bagno di concretezza sarebbe opportuno.
Chicco Testa
Punto undici del programma elettorale del centrodestra, anno 2022: “Ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro”. Ci sono incoerenze del governo che sono sintomo di coraggio (come sulle pensioni, meno Salvini più Fornero). E ci sono incoerenze, come queste, che sono sintomo di poco coraggio e che sono la spia dell’incapacità della destra di fare i conti con le divisioni generate dalle proprie promesse giuste. Peccato.
Al direttore - Pare che Roberto Scarpinato e Nino Di Matteo siano ossessionati dalla figura del generale Mario Mori e dalla fantomatica trattativa stato-mafia. Nemmeno l’assoluzione definitiva di Mori in tutti i processi ha indotto le due toghe alla rassegnazione. E pensare che, fino all’entrata in scena di Massimo Ciancimino, proprio Di Matteo scommetteva sulla competenza e insospettabilità di Mori, nonostante i suoi contatti con don Vito Ciancimino, avviati allo scopo di consegnare alla giustizia i capimafia corleonesi, fossero noti alla procura di Palermo, regnante Caselli, già dal lontano 1993. Poi entrò in gioco Ciancimino Jr e tutto cambiò. Mori, agli occhi di Di Matteo, divenne il male assoluto, o quasi. Peccato che il figlio di don Vito si rivelò essere ciò che da subito appariva, un pataccaro non a caso condannato per calunnia. Eppure Di Matteo avrebbe avuto più di un motivo per non cascarci, visto che già in passato, quando era alle sue prime esperienze da pm, volle dare credito alle panzane di Vincenzo Scarantino sulla strage di Via D’Amelio, nonostante fosse evidente (anche a qualche suo collega), che le parole del falso pentito non fossero esattamente oro colato. Ma c’è poco da fare, c’è chi preferisce ignorare i fatti e continuare a vivere di ossessioni.
Luca Rocca
Al direttore - Il Foglio si chiede quale cittadino si farebbe operare da un medico che fallisce due interventi chirurgici su tre e poi si lamenta che invece venga valutato dal Csm positivamente un pm le cui indagini per due terzi finiscono con l’assoluzione. Una metafora oramai tanto abusata, quanto strampalata. Un medico, o un avvocato, sono liberi professionisti, scelti dai loro clienti per conseguire un risultato. Il medico si allea con il suo paziente contro la malattia, per sconfiggere con ogni mezzo la malattia. L’avvocato si allea con il suo cliente per sconfiggere la controparte, per vincere con ogni mezzo lecito la causa. Ai magistrati spetta, invece, il compito di applicare la legge, di tutelare i diritti e le garanzie dei cittadini in un processo. Non si alleano con nessuna delle parti in conflitto e non sono tenuti a raggiungere un risultato ma ad applicare regole e garantire diritti. Anzi i tanti casi in cui i magistrati giudicanti assolvono, rigettando le richieste dei magistrati requirenti dimostrano che i primi non sono proni ai secondi, svelando l’infondatezza dei motivi a fondamento della richiesta di separazione delle carriere. Certamente il tema della valutazione è decisivo perché la legittimazione della giurisdizione risiede proprio nella professionalità dei magistrati e non nella investitura popolare, come invece per gli altri due poteri dello stato. Per questo, ben venga un Foglio liberale e garantista che indaghi come il Csm si occupi di questi temi e tante ne potremmo raccontare! Non mi sfugge che nell’articolo ci si concentra, non sui magistrati tutti, ma solo sul pm, vero assillo di chi si occupa di giustizia. Ci si preoccupa che venga valutato positivamente anche se due volte su tre le sue indagini finiscono con un’assoluzione. E ancora mi stupisce che venga tradita l’anima garantista del Foglio. Si vorrebbe valutare positivamente solo un pm che “vince” le cause? Un pm che a qualsiasi costo cerca di ottenere una condanna anche quando il dibattimento (che è il luogo dove si accertano i fatti e le colpe) non la consente? Oggi, un processo giusto che finisce con l’assoluzione non è un fallimento professionale del pm. Se, invece, si vuole togliere il pm dalla giurisdizione e farne il persecutore di indagati e imputati, allora sì che un’assoluzione sarebbe una sua sconfitta. Ma sarebbe ancora prima una sconfitta per i diritti e le garanzie dei cittadini indagati e imputati, che – mi sembra di avere capito – stanno a cuore tanto a me quanto al Foglio.
Giovanni Zaccaro
segretario di AreaDg
Gentile Zaccaro, mi sembra che lei non abbia colto il punto della questione. Noi pensiamo che ci siano troppi innocenti che vengono arrestati (4.000 negli ultimi cinque anni), pensiamo che lo stato paghi troppi soldi per ingiuste detenzioni (193 milioni negli ultimi cinque anni) e pensiamo che il grande e giusto tema dell’indipendenza della magistratura si sia trasformato in qualcosa di diverso che assomiglia sempre meno a una forma di tutela del ruolo del magistrato e sempre più a una forma di tutela dell’impunità del magistrato. Come scritto nell’articolo, i magistrati lungo tutta la loro carriera non vanno incontro ad alcuna valutazione concreta della loro professionalità (tanto da essere “promossi” nel 99,6 per cento dei casi). Non solo. Tra il 2017 e il 2023, come saprà, sono state avviate appena 87 azioni disciplinari. Esito: 44 non doversi procedere, 27 assoluzioni, 8 censure, 1 ammonimento, 7 ancora in corso. Sanzioni nello 0,2 per cento dei casi. Noi pensiamo che il sistema non funzioni più e che sia controproducente per la stessa magistratura. Difendere il garantismo significa anche questo. Significa difendere lo stato di diritto dalla presenza di una magistratura fortissimamente decisa a non farsi giudicare quando sbaglia. Felice di riparlarne quando crede. Grazie.
Al direttore - Ho letto con molto interesse l’articolo a firma di Luciano Capone dal titolo “Manovra e sciopero” in merito all’incontro fra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i sindacati. Condivido l’importanza di un approccio prudente nella gestione delle risorse economiche a tutela della stabilità dei conti pubblici. In risposta alle recenti affermazioni di Maurizio Landini, desidero sottolineare la necessità di una riflessione profonda e responsabile sul ruolo che ciascun leader sindacale deve assumere in questo momento per il nostro paese. Incitare alla rivolta sociale non è una soluzione e rischia di acuire tensioni latenti che potrebbero degenerare. La legge di Bilancio rimane un buon intervento in senso sociale, a partire da alcune misure come la conferma del taglio dell’Irpef e del cuneo fiscale, che diventano strutturali, il sostegno alle lavoratrici madri, l’incentivo alla contrattazione collettiva di secondo livello e la rivalutazione degli assegni pensionistici. La riduzione della tassazione sul costo del lavoro rafforza sensibilmente il potere d’acquisto delle retribuzioni. Al contempo, riteniamo che un ulteriore sforzo vada compiuto sul fronte della sanità, delle misure per la natalità e delle risorse a sostegno del trasporto pubblico locale. La strada maestra resta il confronto costruttivo fra il governo e le altre parti sociali attraverso la ricerca di soluzioni efficaci e sostenibili nell’interesse del mondo del lavoro. L’Ugl ha chiesto alcune modifiche puntuali per migliorare l’impianto della manovra, per queste ragioni non sembrano esserci condizioni tali da imporre il ricorso a uno sciopero, già indetto, invece, prima ancora del confronto con il governo, da altre organizzazioni sindacali.
Francesco Paolo Capone