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Lettere al direttore

L'Italia fa la cauta, ma lascia Kyiv libera di usare le sue armi in Russia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ma se e quando anche la Germania, dopo gli Stati Uniti d’America, darà l’assenso all’utilizzo in territorio russo delle armi fornite all’Ucraina, il nostro governo, col ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che per mesi si è fatto scudo anche del diniego americano, a chi si appoggerà per continuare a ribadire il suo no impedendo a Kyiv di usare le armi italiane oltre il proprio confine per tentare di fermare gli attacchi russi? Una posizione, quella italiana, sempre più incomprensibile.
Luca Rocca


La posizione del governo è sbagliata, su questo punto, lo abbiamo scritto molte volte e lo ribadiamo oggi. Ma tra le parole e la realtà c’è una differenza, come abbiamo ricordato sul Foglio del 20 settembre: il divieto verbale di usare in territorio russo le armi che l'Italia ha offerto all’esercito ucraino non ha un suo corrispettivo formale. E se non esiste un solo atto formale in grado di dimostrare che l’Italia impedisce all’Ucraina di usare le armi che le offre per fare quello che crede, se non esiste cioè un solo atto in grado di impedire che le armi date all’Ucraina vengano utilizzate anche in territorio russo, significa una cosa semplice: l’Italia che a parole chiede all’Ucraina di non usare in territorio russo le armi che invia in Ucraina non vieta all’esercito ucraino di usarle nei fatti come meglio crede. 



Al direttore - La prego di consentirmi questo “ritorno” sul tema dell’autonomia regionale differenziata. Se, come sostiene anche il ministro Calderoli, l’impianto della legge è salvo, allora, “per la contradizion che nol consente”, non si può escludere “a priori” la possibilità dell’ammissibilità del referendum, a meno che non si attribuisca un carattere metafisico alla parola “impianto”, che resta, ma è impalpabile (una sorte di araba fenice). Del resto, anche su di una legge che fosse in regola con la Costituzione o lo diventasse, il referendum è pur sempre ammissibile perché esso non è certo un controllo di legittimità costituzionale che invece spetta alla Consulta. Semmai, il problema potrebbe sorgere nell’immediato per i dubbi sul testo derivante dalla pronuncia della Corte. Allora, il ritardo nel provvedere da parte del governo e del Parlamento potrebbe avere anche l’effetto, voluto o no, di bloccare “medio tempore” il referendum. Insomma, le questioni che sorgono sono molto complesse e impegnano prima che anche forze della stessa maggioranza possano eventualmente gioire perché la decisione della Consulta eviterebbe il ricorso al voto popolare. La ringrazio. 
Angelo De Mattia



Al direttore - “A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali” (Papa Francesco, “La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore”, a cura di Hernan Reyes Alcade, Piemme). Ora, a Gerusalemme c’è un patriarcato della Chiesa cattolica che estende la sua giurisdizione sui fedeli residenti in Israele, Palestina, Giordania e Cipro. Il suo reggente, il neocardinale Pierbattista Pizzaballa, dovrebbe quindi essere in grado di fornire al Vaticano informazioni di prima mano sulla situazione di Gaza, senza bisogno di affidarsi alle dicerie degli esperti. Ma il punto è un altro e ha ragione Matteo Matzuzzi sul Foglio di ieri: è curioso un Pontefice che chiede incessantemente di sotterrare tutte le armi, e quindi anche quelle dell’odio, e poi quasi di soppiatto adombra il sospetto di un genocidio progettato dallo stato ebraico. Un sospetto, peraltro mai sollevato per la Russia che da tre anni devasta la “martoriata Ucraina”, che sarà usato per gettare benzina sul fuoco di una violenta campagna antisemita, fin qui debolmente condannata da chi per primo dovrebbe condannarla. Rovesciando il motto di sant’Agostino, in questo caso “ex bono, malum”. Nessuno può infatti dubitare della volontà di pace del Santo Padre. Purtroppo, è certo che anche questa volta le sue parole verranno travisate dai danteschi “seminatori di discordie”.
Michele Magno


“Quando mi dicono che Israele fa genocidi, questo confronto diventa una bestemmia” (Liliana Segre, 21 maggio 2024)