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Lettere al direttore

Quando sacrificare una notizia è un atto di responsabilità e un dovere

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Coraggio, il meglio è passato (Ennio Flaiano).
Michele Magno



Al direttore - Lei è un esempio per tutti nel nuovo anno. Scrive e si mette in gioco perché non si arrende alle ingiustizie. Un suo pensiero mi ha colpito. Molto semplice. Noi non sappiamo apprezzare la fortuna di vivere nella libertà, un privilegio che non esiste nella maggior parte dei paesi. Come suggerisce Jason Rezaian, giornalista del Washington Post che ha passato 544 giorni nella sezione 2A del carcere di Evin, a Teheran, dal luglio del 2014 al gennaio del 2016 (in un bell’articolo di Paola Peduzzi sul Foglio) dobbiamo cercare di fare “più rumore possibile” per chiedere la sua liberazione. Non è vero che il silenzio aiuta le trattative per la liberazione. Rezaian ricorda che anche i carcerieri erano condizionati dalla mobilitazione dell’opinione pubblica e si trattenevano. Ogni giorno dobbiamo parlare di lei come ha fatto il presidente Mattarella nel messaggio di fine anno.
Un abbraccio.

Gabriele Nissim



Al direttore - Vicinanza e affetto per Cecilia Sala. Con un elemento di riflessione, posto da Francesco Merlo, su Repubblica, che suggerisce un problema serio. Fino a che punto è legittimo tacere una notizia rilevante in nome dello stato di necessità? E può lo stato di necessità da solo bastare per giustificare il silenzio? E mi consenta un ulteriore dubbio: sarebbe stato così esteso e condiviso il silenzio dell’informazione italiana se la vittima non fosse stata una collega di un importante giornale? Saluti aspettando Cecilia.
Cataldo Intrieri


E’ stato giusto? Sì: se ci sono trattative per liberare una persona in ostaggio, sacrificare una notizia è un atto di responsabilità, un dovere, e chi lo ha fatto non può che essere felice di averlo fatto. Sarebbe stato fatto anche per una figura diversa da una giornalista? Noi lo avremmo fatto. E’ servito a qualcosa? Probabilmente sì: a non ritardare ulteriormente la prima visita dell’ambasciatrice in cella. Può lo stato di necessità giustificare un silenzio di qualche giorno? Se non si è sciacalli, sì, altroché. Sobrietà, scrupolo, attenzione e responsabilità. Altre vie non esistono. Riportatecela a casa, grazie. 


Qualche giorno fa, a “Omnibus”, una brava giornalista del Corriere della Sera, Virginia Piccolillo, ha detto una falsità sul caso di Cecilia Sala. Piccolillo ha insinuato che Cecilia sia una giornalista sfruttata dalle testate per cui lavora e che è inaccettabile inviare in luoghi così pericolosi dei freelance. A parte il fatto che l’Italia è piena di freelance eccezionali, forse informarsi sarebbe utile: Cecilia non è una freelance, ma è una dipendente di questo giornale da due anni, e collabora con gli amici di Chora Media, per i quali era inviata in Iran. Riportatecela a casa, grazie. 



Al direttore - I delitti politici commessi all’estero contro cittadini italiani sono perseguibili anche in Italia ai sensi del Codice penale su richiesta del ministro della Giustizia. Il sequestro di persona a scopo di estorsione è punito da 25 a 30 anni di reclusione. Cecilia Sala è la sequestrata, l’obiettivo dell’estorsione è ottenere la liberazione di un trafficante di droni.
Quando, di sicuro almeno dopo la liberazione della giornalista, l’apertura di un fascicolo alla Procura di Roma contro i sequestratori col turbante? Ci contiamo. Intanto, auguri Cecilia

Guido Salvini


Una cosa per volta. Intanto riportatecela a casa, grazie.

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