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Lettere

I tempi della tregua a Gaza sono dipesi anche dalle mosse dell'occidente

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il sogno ora è anche un terzo mandato per Di Maio.
Giuseppe De Filippi


Al direttore - L’imminente accordo di tregua a Gaza (incrociamo le dita) è una bella notizia. Certo, Netanyahu paga un prezzo pesante, se sono veritieri i suoi termini anticipati dalla stampa. Ma probabilmente non c’erano alternative praticabili. Il futuro della Striscia resta peraltro ancora da scrivere, nonostante il “piano Blinken” contenga idee interessanti, a partire dal coinvolgimento attivo di alcuni paesi arabi. Mentre mi riesce difficile immaginare una Anp “riformata” con l’Onu di Guterres a fare la foglia di fico in Cisgiordania di corrotti e corruttori incalliti. Chi vivrà vedrà. Ma ora il pensiero va rivolto a quegli uomini, donne e bambini che saranno restituiti alle loro famiglie. A quelle persone che negli ultimi quindici mesi sono state dimenticate da noi o ignorate da un’intellettualità, da una stampa e da una sinistra politica e sindacale corrive con la tesi del genocidio.
Michele Magno

Resta una domanda, fra le tante: se l’occidente libero, negli ultimi due anni, avesse concentrato tutti i suoi sforzi diplomatici per combattere Hamas, piuttosto che Israele, la tregua ci sarebbe stata prima o dopo?


 

Al direttore - Tornano le polemiche per l’ennesima “sentenza choc” che ha concluso un processo per “femminicidio” senza la parola “ergastolo” nel dispositivo. La polemica ruota attorno al riconoscimento delle attenuanti generiche e alla frase secondo cui si sarebbe dovuto tener conto della “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto”. Non è da una mezza frase che si può giudicare una vicenda così complessa. Se si legge la sentenza ci si rende conto del contesto e si scopre, ad esempio, che “i litigi si realizzavano a seguito di continue condotte di disturbo e di aggressività che partivano dalle due donne fino a divenire reciproche” o che l’imputato era destinatario di dispetti (“sempre più disumani e insopportabili”) essendogli impedito persino di “dormire nel proprio letto o usare il bagno”. Nessuna giustificazione per il tragico esito. E del resto, la condanna a 30 anni è sacrosanta. Quello che ci si deve chiedere è: ma davvero una sentenza senza ergastolo è una sentenza ingiusta? Questa sentenza ci ricorda che non è così e che compito dei giudici – nonché scopo dei processi che si celebrano nelle aule di giustizia (ma non di quelli mediatici) – non è quello di applicare un tariffario precompilato, tale per cui alla contestazione di “femminicidio” corrisponda in automatico l’ergastolo, bensì quello di accertare se e come l’imputato debba essere punito. Il come non è affatto aspetto secondario, avendo la Corte costituzionale più volte ricordato che il principio di proporzionalità della pena “esige” – e non “suggerisce” o “consiglia” – che la pena sia adeguatamente calibrata alla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile. Più che gridare allo scandalo, auguriamoci che ci siano ancora giudici che si pongono il tema di indagare se un imputato sia più o meno rimproverabile.
Guido Stampanoni Bassi, direttore della rivista Giurisprudenza Penale


 

Al direttore - E’ stata una bella sorpresa la lettera aperta che mi ha indirizzato Giulio Silvano martedì sul Foglio (“Cari scrittori e intellettuali, è forse giunta l’ora di levare le tende dai social”). Mi piace l’espressione che usa – “giullari da tastiera” – perché siamo un po’ questo: anche quando facciamo i seri. Ci siamo persuasi che per la promozione sia essenziale stare lì e forse è vero, forse no. Non lo so più. Ma bisognerà pur rilevare questo buffo effetto per cui facciamo sapere che è uscito il nostro libro a chi già lo sa e quasi mai a chi non lo sa, ri-postiamo all’infinito la copertina del nostro libro postata da chi in sostanza ci conosce. Ci facciamo la ola da soli. Non è facile essere scrittori in Italia nel 2025, e d’altra parte non lo è stato mai (nemmeno altrove?): fatto è che nel complesso c’è qualcosa di patetico nel fare i feticisti dei libri-omaggio. E’ una buffonata, balsamica per gli ego, ma pur sempre una buffonata. Bello! Bellissimo! Stupendo! Imperdibile! Struggente! Potente! Ecc. Silvano dice che sarebbe buona la soluzione Donna Tartt (un libro ogni dieci anni e sparire dalla scena): sì, ma per fare Donna Tartt bisogna avere quel talento, disporre di grandi anticipi o essere ricchi di famiglia. Sennò tocca barcamenarsi come ci barcameniamo – male, cioè: prigionieri di una endogamia infruttuosa, simpaticamente irrilevanti se non fra i nostri simili. Amen. 
Paolo Di Paolo
 

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