Foto Epa, via Ansa

lettere al direttore

Perché ci si indigna per Trump e non per i piani pazzi di Hamas

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Bisogna credere a Trump quando dice di voler svuotare Gaza?
Luca Maroni

Direi di no. Ma il mistero vero è perché i piani pazzi ma non realizzabili di Trump su Gaza (trattasi di negoziazione, per aprire la porta ai sauditi: se non volete noi americani, allora accettate loro) facciano così indignare mentre quelli pazzi ma realizzabili di Hamas & Co. su Israele non facciano indignare (“From the river to the sea, Palestine will be free”). Gli unici intenzionati a spazzare via qualcuno dalla mappa geografica non sono gli occidentali, ma sono i follower di un mostro chiamato regime iraniano.

 


 

Al direttore - Leggo che Trump ha proposto a Zelensky un baratto: più aiuti militari Usa in cambio dei giacimenti di terre rare ucraini. Poiché la maggior parte delle terre rare è ubicata nelle regioni occupate dai russi, se fossi in Zelensky accetterei di corsa.
Michele Magno

   


    
Al direttore - E’ stata lei a ordinare il rimpatrio di Almasri in Libia? chiede Elly Schlein a Giorgia Meloni. Fossimo nel presidente del Consiglio, non mi lascerei sfuggire l’occasione di rispondere come il colonnello Jessep (Jack Nicholson) fece con il tenente Kaffee (Tom Cruise) in “Codice d’onore”, quando insistentemente gli veniva chiesto se fosse stato lui a ordinare il “codice rosso” che aveva portato alla morte del soldato semplice Santiago. “Tu vuoi delle risposte? Tu non puoi reggere la verità. Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile… chi lo fa questo lavoro? Tu? Io ho responsabilità più grandi di quello che voi possiate mai intuire (…). Voi non volete la verità perché nei vostri desideri più profondi, che in verità non si nominano, voi mi volete su quel muro. Io vi servo in cima a quel muro (…). Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco. E poi contesta il modo in cui gliela fornisco”. Non sarebbe perfetto?
Luca Rocca

 


 

Al direttore - Il decreto Cultura, su cui il governo ha deciso di porre la fiducia, è un inno all’indifferenza nei confronti del mercato dell’arte italiano e dei suoi operatori. Nonostante le interlocuzioni con le istituzioni, nessuna delle proposte a sostegno del settore è stata recepita. L’economia dell’arte italiana è rimasta indietro rispetto al resto del mercato europeo. E ciò non si deve alla straordinaria produzione di opere d’arte che il nostro paese continua a offrire, ma a una regolamentazione domestica che rende impossibile la competizione nel contesto europeo. Il dl Cultura era l’occasione per dare un nuova linfa al mercato dell’arte, ma il risultato è nullo e condiziona la sopravvivenza del settore. L’Italia, pur essendo custode di un immenso patrimonio storico-artistico, genera solo una piccola percentuale del fatturato europeo e mondiale. Le ragioni? Normative obsolete sulla circolazione delle opere e un regime fiscale insostenibile. Una situazione resa più grave dal fatto che altri paesi europei, Francia e Germania, hanno colto le opportunità consentite dalle direttive europee. Oggi l’Iva ordinaria in Italia è al 22 per cento a fronte di regimi più competitivi, come quello tedesco o francese, che dal 1° gennaio 2025 hanno abbassato le aliquote al 7 e al 5,5 per cento, approfittando della direttiva (Ue) 2022/542. L’Italia, invece, è rimasta indietro e non ha sfruttato le opportunità del contesto europeo. L’effetto che si teme, e che in parte si sta verificando, è il trasferimento di molte attività verso paesi con fiscalità oggi più convenienti a grave danno della cultura italiana e paradossalmente proprio del gettito fiscale. Non possiamo ignorare le conseguenze su tutta la filiera: artisti, accademie e centri di formazione, restauratori, artigiani, e il fondamentale comparto delle fiere sono messi a rischio. Siamo davanti a una progressiva ma inesorabile delocalizzazione che rischia di soffocare il comparto. Non combattere per tutelare le nostre arti e i nostri antichi mestieri è come amputare una parte importante del made in Italy. Cosa servirebbe? L’allineamento alle soglie di valore europee, una soglia temporale unica a 70 anni, tempi certi per le procedure, l’introduzione di indennizzi in caso di notifica, incentivi al mecenatismo, la riduzione dell’Iva e un tax credit per gli artisti viventi. Purtroppo, le nostre richieste sono state ignorate. Le mancate riforme produrranno conseguenze a breve termine: fuga di gallerie e artisti verso paesi più vantaggiosi, crollo del fatturato delle gallerie, la scomparsa di giovani artisti, il depauperamento del collezionismo pubblico e privato, la perdita di attrattività delle fiere con il loro indotto, e la crisi della logistica. Il paese dell’arte e della cultura deve comprendere urgentemente che va difesa la nostra storia di ieri, ma anche quella di domani.

Alessandra Di Castropresidente Associazione Gruppo Apollo