le lettere al direttore

Se l'occidente non saprà resistere forte, sarà un'altra Monaco 1938

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Si fanno molti sforzi per autoconvincersi che Trump non sia un disastro. Ma poi arriva un momento in cui vedi che il presidente americano vuole regalare a Putin quello che ha conquistato in Ucraina, vuole togliere di mezzo Zelensky, vuole scrivere un nuovo patto egemonico con i peggiori ceffi del mondo. Cosa pensare?
Luca Martini

“L’incontro di quest’anno a Monaco sembra destinato a rispecchiare la disastrosa Conferenza del 1938, in cui il continente rimase cieco di fronte alla doppiezza di Hitler. Il tanfo dell’appeasement sta tornando ancora una volta a Monaco. Dopo che Chamberlain tornò in Gran Bretagna nel 1938, dopo aver firmato un accordo con Adolf Hitler, proclamò ‘pace per il nostro tempo’. Winston Churchill allora replicò che ‘vi è stata data la scelta tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra’. Lo stesso destino attende l’occidente, che sia nello stretto di Taiwan, in Iran o altrove in Europa, se non riesce a resistere forte ora. E come 87 anni fa, avrà le sue radici a Monaco”. Un perfetto Ben Wallace, ex segretario di stato per la Difesa britannico, ieri al Telegraph.

 


 

Al direttore - Maurizio Landini ha aperto a Bologna la mobilitazione a sostegno dei cinque referendum (di cui quattro promossi dalla Cgil) che si svolgeranno in primavera. Tra gli ospiti della assemblea delle assemblee anche Alessandro Barbero, il quale, da storico di vaglia,  a cose avvenute, sarà chiamato a spiegare la differenza tra la sconfitta  del Pci di 40 anni fa nel referendum sulla scala mobile e quella a cui va incontro Landini, perché  non sarà raggiunto il quorum. Nel 1985 c’era un avversario: il governo Craxi. Per l’attuale governo l’esito del referendum sul Jobs Act non ha alcun interesse, visto che si tratta di un regolamento di conti all’interno della sinistra, tra Landini e Renzi.
Giuliano Cazzola

 



Al direttore - L’ansia di trovare un capro espiatorio non risparmia la sanità. Anzi, proprio nel campo della responsabilità medica la ricerca di un colpevole a tutti i costi assume un peso intollerabile, sul piano quantitativo e qualitativo. Cresce a dismisura il numero di denunce ed esposti, spesso infondati e strumentali, nei confronti degli operatori sanitari: gli ultimi dati disponibili parlano di quasi 35 mila azioni intraprese negli ultimi anni per presunta malpractice, con circa 300 mila fascicoli che affollano i tribunali. Ma il dato più significativo, su cui occorre un supplemento di riflessione, è quello che riguarda l’esito delle denunce in sede penale: quasi il 97 per cento finisce con archiviazione o proscioglimento. Le conseguenze perverse di questo cortocircuito sono ben note. Da un lato, come da consolidata degenerazione, a ogni iscrizione sul registro delle notizie di reato corrisponde – al di là della preoccupazione economica – l’avvio della gogna mediatica e il conseguente pregiudizio reputazionale, difficile (se non impossibile) da superare; dall’altro, e di conseguenza, il rischio che i nostri medici, scossi e spaventati, sempre più si attivino per la salvaguardia della loro incolumità, non solo fisica (le aggressioni, nonostante gli ultimi provvedimenti, proseguono) ma soprattutto giudiziaria, attuando gli stilemi tipici della medicina difensiva: comportamenti cautelativi di tipo preventivo, servizi aggiuntivi non necessari (diretti perlopiù a dissuadere dalla possibilità di presentare denunce) o addirittura l’astensione da interventi di cura verso pazienti ad alto rischio. I costi, economici e sociali, sono elevatissimi e inaccettabili e la pressione mediatico-giudiziaria, che si somma a quella connessa alla delicatezza del ruolo, può condurre alla resa: il tragico suicidio dei giorni scorsi a Trento ce lo ricorda drammaticamente. Come se ne esce? Invocare equilibrio, misura, razionalità e buon senso aiuta ma non basta. Va completato il percorso di ripensamento strutturale della colpa medica, iniziato con i provvedimenti emergenziali e proseguito con i decreti Milleproroghe 2023 e 2024. La responsabilità penale del medico va circoscritta ai soli casi di colpa grave e va accompagnata dall’esplicitazione di elementi di contesto che pubblico ministero e giudice non possono non tenere in considerazione: le concrete condizioni di lavoro e la disponibilità delle risorse umane, materiali e finanziarie; il numero dei casi da trattare; il grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale impiegato per affrontare una situazione di urgenza ed emergenza; la carenza di personale e i deficit strutturali e organizzativi; non ultimo, lo stato delle conoscenze scientifiche. La strada intrapresa dal ministero della Salute è quella giusta; occorre un ultimo sforzo per restituire serenità al personale sanitario, nella consapevolezza che allontanare lo spettro della medicina difensiva può non solo migliorare le prestazioni e liberare risorse, valorizzando a pieno il diritto alla salute, ma anche restituire alla professione medica quell’attrattività che sta rischiando di sfumare nel timore di troppo facili avvisi di garanzia.
Cristiano Cupelli