
le lettere al direttore
Il nemico non è Trump, ma Putin. Appunti per gli antifascisti
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - La kefiah e la bandiera della Palestina sono misteriosamente scomparse dai campus statunitensi. Nemmeno la proposta di trasformare Gaza in una Dubai del Mediterraneo ha suscitato reazioni significative nel movimento studentesco. E’ come se l’oscena statua d’oro di Trump posta al centro della città avesse anestetizzato la sua protesta. Come è potuto accadere? La verità è che ai giovani (e vecchi) americani non importava nulla di Gaza. Dietro alle occupazioni non c’era niente di serio, era puro e romantico arditismo. Del resto, perché scendere in piazza quando ormai “tutto” avviene sul palcoscenico dei social media, oggi in grande maggioranza nelle mani delle Big Tech alleate con il tycoon newyorchese? La sua elezione è stata una rivoluzione dal basso, di cittadini che l’hanno votato perché controllasse il prezzo delle uova (peraltro ora in vertiginosa ascesa). Ma la vera rivoluzione sta venendo dall’alto, e non si ferma con una manifestazione dei liberal a Washington o con gli appelli delle star hollywoodiane. L’opposizione al duumvirato Trump-Musk può venire da forze di pari grado. I giudici federali non bastano per fermare gli ordini esecutivi presidenziali. Per fermare la strategia dei dazi e dell’appeasement con Putin ci vuole l’Europa. Un’Europa anche, perché no?, tatticamente dialogante con la Cina. Quest’ultima è una potenza imperiale spietata, ma è anche una potenza pragmatica. Certo, non è facile mettere d’accordo Voltaire e Confucio, ma non è neanche impossibile.
Michele Magno
Mistero questo, vero, così come è un mistero il fatto che gli antifascisti in servizio permanente effettivo da giorni evitano con cura di ragionare attorno a una forma di fascismo in purezza che potrebbe tornare a minacciare l’Europa, grazie alla complicità di Trump. Qualcuno ha notizia degli antifascisti italiani impegnati a denunciare l’oscenità di un mondo che si inchina al regime putiniano? Manifestare per l’Europa va bene, ma quando si manifesta per l’Europa bisognerebbe ricordare che il nemico oggi non è l’America, il nemico resta sempre lo stesso: un criminale di guerra chiamato Vladimir Putin.
Al direttore - Ecco, ci siamo. La decisione di Trump di sospendere gli aiuti a Kyiv prospetta una fine dolorosa e vile della straordinaria resistenza ucraina all’invasione voluta da Putin. Dopo il round para-mafioso nel ring dello Studio Ovale per sottomettere Zelensky, l’Ucraina disarmata, mutilata e depredata del suo immenso tesoro minerario dovrebbe cadere come miele nelle fauci dell’orso russo. Sta a noi europei e solo a noi impedire che questo accada senza una trattativa equa e duratura.
Margherita Boniver
Al direttore - Colma di ammirazione e in un beato stato di idem sentire con il magistrale articolo di Giuliano Ferrara sull’inconcepibile, osceno e non riuscito tentativo di umiliare Zelensky nel “cesso giallino” di Trump e dalla veritiera, coraggiosa e inoppugnabile difesa di Israele firmata Lucetta Scaraffia citando Primo Levi, desidero ringraziare di tutto cuore il Foglio per ciò che offre quotidianamente di nobile e giusto. Un nutrimento per l’intelligenza e l’anima (di chi ancora le ha e intende conservarle entrambe).
Francesca Benvenuti
Al direttore - Nel vertice di Londra, organizzato da Starmer in raccordo con Macron, la linea franco-inglese (a cui si aggiungerà ben presto anche la Germania di Merz) sulla sicurezza europea e per un progetto di tregua per l’Ucraina riceve – ahimè – un’accoglienza fredda e ambigua da parte della Meloni. Un errore del governo italiano che rischia non solo di allontanare il nostro paese dallo sforzo comune della parte che, unitamente all’Italia, più pesa negli equilibri geopolitici del continente, ma anche di danneggiare l’interesse nazionale del nostro paese, soprattutto nel quadro del ruolo strategico che Roma potrebbe avere nello scacchiere del Mediterraneo allargato, qualora si muovesse in stretto raccordo con Francia e Inghilterra. Ma altrettanto grave – mi si lasci dire – è la postura assunta dal Pd, la componente più autorevole tra le forze d’opposizione a Meloni. Come non vedere che, all’ambiguità della Meloni verso l’iniziativa europeista franco-inglese, corrisponde in parallelo l’ambiguità della Schlein che, nell’ultima Direzione del Pd, arriva ad affermare che “Non siamo con Trump e il finto pacifismo […] e non saremo con l’Europa per continuare la guerra”. E’ la terza via in politica estera della segretaria del Pd (copyright Ruggiero Montenegro – il Foglio 27/2), una sorta di Araba fenice: “Che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa” (P. Metastasio). Così, però, non si fa l’interesse nazionale ed europeo e non si costruisce una sinistra di governo, ahimè.
Alberto Bianchi