
Foto ANSA
Lettere al direttore
Magnifica tempestività dell'Europa sulla Difesa. Ora vediamo i fatti
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Caro Cerasa, in Italia non è vero che i nomi sono conseguenza della realtà delle cose (“Nomina sunt consequentia rerum”). E’ vero il contrario: la realtà delle cose è conseguenza dei nomi (“Res sunt consequentia nominum”). Pertanto, se Ursula von der Leyen avesse chiamato il suo piano – invece di Rearm Europe – Security Europe, chissà, forse i predicatori di pace si sarebbero rasserenati. Battute a parte, la proposta più rilevante della Commissione è nota: nei prossimi quattro anni i 27 paesi dell’Ue potranno spendere seicento miliardi di euro, non solo in armi ma in tecnologie cibernetiche, al di fuori delle regole fiscali sul rapporto deficit-pil. Da noi i partiti più polemici contro questa proposta sono quelli più responsabili di un buco di bilancio di centocinquanta miliardi nello stesso arco di tempo. Parlo, va da sé, dei bonus edilizi (Luciano Capone e Carlo Stagnaro eventualmente mi correggeranno). Siamo un paese meraviglioso.
Michele Magno
Aver chiamato le cose con il loro nome, averlo fatto con grande velocità e con formidabile tempestività, mi sembra magnifico, saggio, lungimirante. Sui soldi europei, poi, c’è un mistero da chiarire, perché degli 800 miliardi annunciati quelli che verranno generati con debito comune (Sure) sono 150 miliardi (prima della svolta, i soldi comuni stanziati dall’Europa per la difesa erano due miliardi) mentre gli altri 650 miliardi sono nelle disponibilità degli stati europei che possono utilizzare le flessibilità offerta dalla Commissione (niente calcolo nel deficit) per le spese militari. E’ un gioco di prestigio, necessario ma non sufficiente, ma per una volta l’Europa con le parole è stata rapida. Speriamo che i fatti lo siano altrettanto.
Al direttore - Ieri, per la prima volta la presidente Christine Lagarde ha reso noto nome e cognome del componente il Consiglio direttivo della Bce che ha votato contro il nuovo taglio dei tassi di riferimento di 25 punti base. E’ Robert Holzmann, governatore della Banca d’Austria. A questo punto, sarebbe doveroso, per le necessarie trasparenza e “accountability”, che si iniziasse la prassi di rendere noti i nomi degli eventuali dissenzienti nelle singole riunioni e si valutasse se introdurre la “dissenting opinion” con adeguate modalità, evitandosi così la caccia a scovare il nome di chi non è stato d’accordo e per quale motivo. Poiché fino ai giorni di “massimo riserbo”, prima delle sedute del direttivo, i componenti dell’organo di vertice parlano pubblicamente di tutto, a 360 gradi, realizzandosi così un dibattito a mezzo “media”, suona strano che poi cali il silenzio sulle decisioni e su come i singoli si sono regolati; o meglio, se ne è parlato giovedì scorso, come accennato, ma non si vorrebbe che ciò sia accaduto solo perché si sia trattato di un solo esponente. In ogni caso, il problema andrebbe affrontato, anche se nel merito si dovessero già avere, nell’organo in questione, opinioni collidenti.
Angelo De Mattia
Al direttore - Diversamente da quanto sostiene nella sua lettera Yasha Reibman (6 marzo 2025), l’appello promosso da oltre 200 ebrei italiani e apparso sulla Repubblica e sul Manifesto il 26 febbraio scorso non mirava che a denunciare il progetto di “pulizia etnica” (trasferimento forzato di popolazione) annunciato da Trump per i palestinesi di Gaza, nonché la persistente violenza di coloni ed esercito israeliani nella Cisgiordania. Nessuna lista di proscrizione e niente ebrei “buoni” e “cattivi” da parte dei sottoscrittori (una costruzione che è stata fantasiosamente elaborata dai critici dell’appello). Semmai il desiderio di manifestare un pluralismo di posizioni poco accettato attorno a Israele da una parte consistente delle comunità ebraiche. Purtroppo la solitudine descritta da Reibman per il mondo ebraico è in larga parte provocata dalla sanguinosa risposta del governo Netanyahu al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre.
Simon Levis Sullam
La solitudine descritta da Reibman per il mondo ebraico è in larga parte provocata da tutti coloro che nel mondo occidentale hanno scelto, un minuto dopo il 7 ottobre, di rinunciare a dedicare ogni energia all’unica pressione internazionale che avrebbe potuto far finire la guerra: chiedere il disarmo non di Israele ma di Hamas. Non so lei ma non ricordo appelli su questo tema. Free Gaza From Hamas.