lettere al direttore

Competizione, efficienza, creatività. L'esperimento del Foglio AI riscuote successo, ed è solo l'inizio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, ecco il mio pensiero, corretto tramite l’AI. L’iniziativa del Foglio AI, il primo quotidiano interamente redatto dall’intelligenza artificiale, è un esperimento che interessa chi, come noi di Ucimu-Sistemi per produrre, si occupa di innovazione e tecnologia applicata all’industria manifatturiera. L’AI sta rivoluzionando molti settori, dalla scrittura giornalistica alla produzione industriale. L’industria italiana delle macchine utensili, della robotica e dell’automazione sta già integrando sistemi di intelligenza artificiale per migliorare l’efficienza produttiva, la manutenzione predittiva e la qualità del prodotto finale. C’è una consapevolezza: l’AI è uno strumento, non un sostituto della competenza umana. Dobbiamo però deciderci: quale ruolo resta all’intuizione, alla creatività e al pensiero critico dell’uomo? Nell’industria, come nel giornalismo, l’AI deve essere un supporto che aumenta la capacità umana, non un’alternativa che la sostituisce. L’AI non deve sostituire il fattore umano, ma potenziarlo, permettendoci di lavorare in modo più intelligente, strategico, efficace e con un minore sforzo. L’esperimento del Foglio AI ci dimostra che il futuro dell’innovazione passa attraverso l’integrazione equilibrata tra uomo e tecnologia. Questo vale per il giornalismo come per la manifattura: l’intelligenza artificiale è una risorsa straordinaria, ma il valore aggiunto rimane sempre nelle mani di chi sa governarla con competenza e visione. Complimenti di nuovo.
Alfredo Mariotti

Le sorprese sono appena iniziate. 

 


  

Al direttore - Mi chiamo Gianfranco Martucci, sono un medico e leggo il Foglio da 20 anni. Grazie di questa bella idea del Foglio AI, che trovo entusiasmante. Segnalo solo un problema dal punto di vista dell’“esperienza utente”: per me, ma credo per altri, leggere il Foglio è prima di tutto leggere le opinioni di persone con cui posso non essere d’accordo ma di cui ho una forte stima intellettuale. Quindi vagare per queste pagine senza firma rende tutto un po’ più difficile, e non so perché, penso che anche solo delle sigle o qualunque cosa che distingua un tipo di autoraggio da un altro mi aiuterebbe a leggere con più interesse. Non so, scrivere: “Da domande della Mancuso a ChatGPT”, oppure “dalla nostra intelligenza artificiale terminator 01”, insomma quel che volete… però qualcosa che distingua un articolo dall’altro in termini di “da dove viene”! Sono solo spunti in libertà per quella che per me è la migliore redazione possibile. Buon lavoro e grazie.
Gianfranco Martucci

Ci mettiamo alla prova e mettiamo voi alla prova: grazie!

 


 

Al direttore - Per usare l’AI occorre la IN (Intelligenza Naturale, fornita in quantità industriali dal Fondatore e ben utilizzata dai Successori). Complimenti vivissimi.
Ivan Ferioli 

Il tema è proprio quello: considerare l’intelligenza artificiale non come un’entità avversa, nemica dell’intelligenza naturale, per così dire, ma come un’alleata possibile, forse necessaria, in grado di generare competizione, efficienza, e stimolare la creatività. Vedremo. Intanto, grazie.

 


 

Al direttore - Primo impatto: che bello rivedere “La Giornata” in prima pagina. Idea dell’intelligenza artificiale, oppure a vostra domanda, la risposta dell’AI è stata che miglior sezione della “Giornata” non poteva esserci per condensare le notizie che vale la pena di leggere? E che il Foglio, peraltro, lo aveva capito trent’anni fa?  Complimenti per tutto. Un vostro lettore.

Simone Locci

Idea naturale, raccolta con entusiasmo dall’intelligenza artificiale.

   


      

Al direttore - Cara redazione del Foglio, per ora complimenti per l’idea: siete sempre i primi, i più innovativi, i più coraggiosi, i più originali. Buon confronto con il Foglio AI!

Paola Scandellari

   


   

Al direttore artificiale (CerasAI?) - Il suo editoriale rivendica all’AI la capacità di ragionare in modo lucido sullo stato del mondo. Però all’intelletto umano non è precluso questo argomentare razionale, il riflettere a partire da dati anziché impressioni, il tenere a bada i pregiudizi, insomma un “pensare blu”, blu come il cielo cui hanno rivolto il loro sguardo curioso e interrogativo centinaia di filosofi nella storia dell’umanità, nella speranza di trovare una causa di fenomeni come l’alternanza giorno/notte senza fare ricorso a una divinità superiore. Perché i Sapiens sono dotati di una modalità di pensiero riflessiva, che respinge la tentazione di assecondare il primo impulso e induce ad acquisire informazioni prima di esprimere giudizi e prendere decisioni. Ma – come spiega Daniel Kahneman, lo psicologo che ha fondato l’economia comportamentale e ricevuto il premio Nobel per l’Economia – questa funzione è pigra, cede volentieri il passo a istinto, spontaneità e impulsi innati. La buona notizia è che si può allenare, insegnare, apprendere. La cattiva notizia è che il populismo sta dicendo a tutti noi “ehi, non perdere tempo ad ascoltare i cacadubbi, profeti della complessità: la vita è semplice, la tua prima reazione davanti a un fatto nuovo è sicuramente quella giusta. Perché mai dovresti rispettare le minoranze se fai parte della maggioranza vincente? Quella storia della farfalla che batte le ali in Asia e scatena un uragano in Florida non può essere vera! Chi mai potrebbe rintracciare la catena di nessi causali che mettono in relazione i due fatti?”. Questo invito a pensare semplice invece di “pensare blu” è la più grave minaccia che il trumpismo sta proponendo ai Sapiens del XXI secolo. Benvenuta l’AI, quindi, se ci aiuta a capire che la nostra capacità di combinare istinto e ragione, intuito e riflessione, è il più grande patrimonio di cui disponiamo, frutto di decine di migliaia di anni di evoluzione animale e di alcuni secoli di progresso sociale.
Roberto Basso

 

Articolo artificiale, problema reale: come coltivare l’ottimismo quando si è travolti da un mondo reale che puntato sulla percezione diventa automaticamente artificiale?

     


   

Al direttore - Della breve e intensa lettera inviata da Francesco al direttore del Corriere (sul Corriere di ieri) due punti hanno colpito me, laico con poche certezze. Il primo è il richiamo alle parole (al plurale e con la minuscola) e non alla Parola (al singolare e con la maiuscola) come tratto che rende specifica e unica l’umanità. Francesco: “Sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani”. Gli umani abitano anzitutto nelle parole e le parole non sono parole ma fatti. Nelle e con le parole costruiamo il mondo in cui viviamo e solo con le parole possiamo orientarci in esso. Diversamente dalla Parola (al singolare e con la maiuscola) le parole (al plurale e con la minuscola) non sono il luogo della Verità (anche qui con la maiuscola) ma l’unico modo che gli umani possiedono per cercare la verità che, essendo praticata al singolare e con la minuscola, è sempre da cercare e mai del tutto posseduta. Nessuna parola è garanzia di verità: “[Le parole] possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene”. Il testo così continua: “Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità”. Non so quanto il Papa ne sia consapevole, Francesco in questa breve lettera sta riscrivendo, d’accordo col pensatore cristiano Tertulliano (160-240) e con Erasmo da Rotterdam, la traduzione canonica, voluta da Girolamo e Agostino, dell’incipit del vangelo di Giovanni. Il testo greco dice solennemente: “In principio c’era il logos”. Nei primi secoli della cristianità ci sono stati dibattiti furiosi su come tradurre la parola logos. Tertulliano proponeva di tradurre: “In principio c’era il sermo”. La stessa traduzione in latino fu difesa da Erasmo da Rotterdam in epoca moderna. Sermo in latino vuol dire “discorso, discutere, conversare, dialogare”. Prevalse la linea di Girolamo e Agostino: “In principio c’è il Verbum”. Verbum, con la maiuscola che non esiste nel testo originario greco, vuol dire Parola univoca. Ossia l’esatto contrario della pratica plurale del discutere. Francesco ci sta dicendo con Tertulliano ed Erasmo che in principio non c’è la Parola-Verità ma il discutere paritario e la ricerca della verità. Il secondo punto che ha colpito me laico con poche certezze è una conseguenza del primo. Si trova alla fine della lettera. Francesco per fuoriuscire dai pericoli in cui noi umani ci siamo andati a cacciare non invoca la religione per antonomasia che per un Papa non può che essere la religione cristiana. Chiede aiuto alle religioni tutte: “Le religioni possono attingere alle spiritualità dei popoli per riaccendere il desiderio della fratellanza e della giustizia, la speranza della pace”. Le religioni: ancora la minuscola e il plurale. Francesco non smette di stupirci.
Franco Lo Piparo