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Lettere

C'è ancora qualcuno in Italia che parla senza imbarazzo di pace giusta?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, secondo taluni esperti di geopolitica (da noi sono numerosi come i ct della Nazionale di calcio) non esiste una pace giusta. E gli sconfitti hanno sempre torto, nonostante ancora oggi gli storici non siano d’accordo sulle conseguenze del trattato di Versailles (giugno 1919) e della Conferenza di Jalta (febbraio 1945). Ma ammettiamo pure che sia così. Ora, come diceva un grande Totò, ognuno ha la faccia che ha, però qui si esagera! E le facce dei delegati americani e russi ospitati nello sfarzoso Ritz Carlton di Riad sono molto esagerate, nel senso che somigliano a quelle dei capi mandamento che si riuniscono (loro però in qualche fatiscente casolare della campagna siciliana) per spartirsi zone d’influenza e il bottino dei loro loschi affari. Voglio dire che stiamo assistendo a una tragica farsa. Perché gli incontri nella capitale saudita sono la foglia di fico di un accordo già prestabilito, salvo alcuni dettagli tecnici. Basta prendere sul serio, e vanno prese sul serio, le parole dell’inviato “speciale” Steve Witkoff: “L’Ucraina è un falso Paese” (intervista a Tucker Carlson). Putin, infatti, continua a martellare di missili Kyiv nell’assoluta indifferenza (e connivenza) di Trump. I duumviri di Mosca e Washington, d’altronde, sembrano fatti l’uno per l’altro: money e potere. Sono inoltre legati da un profondo odio per l’Europa liberale, quella Europa che, insieme a qualche apprezzabile segnale di risveglio, perde tempo in futili e premature discussioni sulle forze da schierare ai confini ucraini, invece di fornire subito gli aiuti militari indispensabili a contenere l’avanzata delle truppe del Cremlino. La diplomazia è una partita a scacchi in cui si dà scacco matto ai popoli, diceva Karl Kraus. Speriamo che questa volta non sia vero.
Michele Magno

Ci vorrebbe forse Kraus per provare a ragionare sulle tre tipologie di pace che si vedono oggi in giro. C’è chi sogna una pace giusta, una pace cioè che non somigli a una resa, in cui gli invasori non vengano trattati come se fossero stati gli invasi. C’è chi sogna una pace purchessia, per arrivare subito a un risultato, a prescindere dalla capacità di questa pace di somigliare o no a una pace modello bandiera bianca. C’è chi sogna una pace stabile, magari non del tutto giusta, ma in grado di durare nel tempo, anche a costo di chiedere all’Ucraina di rinunciare a qualcosa. La nostra preferita, naturalmente, è la prima, quella, per usare le parole di Sergio Mattarella, “fondata sul rispetto del diritto internazionale e sulla libertà e la libera determinazione del popolo ucraino”. Tema: in Italia, a parte Mattarella, c’è ancora qualcuno in grado di utilizzare quelle due parole senza imbarazzo, quando si parla di Kyiv? Ripetete con noi: pace giusta. 

 


 

Al direttore - Caro Cerasa e caro collega Carmelo Caruso. Non c’è stato alcun miracolo. Contrariamente a quanto avete scritto ieri, 25 marzo, alle pagine 1 e 4, con articolo a firma del collega Carmelo Caruso, noi non abbiamo preso nessuna posizione comune con l’associazione Unirai. Stiamo facendo le nostre valutazioni sul documento pubblicato dall’azienda sulle responsabilità affidate alla Direzione editoriale offerta informativa. Se avremo qualcosa da dire sull’assetto della Deoi, lo faremo nell’incontro con l’ad Giampaolo Rossi, durante l’assemblea con i corrispondenti e negli incontri con le redazioni. Ci dispiace che il collega Carmelo Caruso, prima di scrivere qualcosa che riguarda l’Usigrai, non ci abbia nemmeno consultati.
Daniele Macheda, segretario Usigrai

Risponde Carmelo Caruso. Eravamo impegnati a parlare con l’altra Usigrai, la corrente “meno rossi, più tosti”. Un saluto, affettuosissimo.

 


Al direttore - Penso che nell’articolo su Jack Ma ci sia un errore: dice “catena di pegni” invece di Monte dei Pegni. L’inglese Pawn Chain è un termine scacchistico dove, naturalmente, pawn significa pedone e non pegno. Rimane strabiliante il vostro foglio AI.
Un saluto.

Enrico Rusconi

 


 

Al direttore - Che un’opinione non condivisa sia elevata a ragione di “scandalo” non fa onore alla qualità del dibattito politico della Seconda Repubblica, che dimostra sempre più di previlegiare lo scontro tra slogan e tifoserie, più che la dialettica tra opinioni. Ma se scandalo non può mai essere l’opinione su un fatto storico, “scandalo”, agli occhi di ogni persona dotata di onestà intellettuale, dovrebbe essere sempre considerata la cancellazione della memoria di un fatto di rilevante importanza storica, tanto più se la cancellazione viene da un’istituzione pubblica. E’ ciò che ha fatto la Commissione europea, diffondendo una “Guida breve all’Ue” (disponibile anche online sui siti istituzionali e in circolazione in tutte le lingue), per informare sinteticamente i cittadini europei sulla vita e sulla storia dell’Europa comunitaria. La sua ventitreesima pagina è dedicata a “I pionieri dell’Ue”. Sono elencati nove nomi, con altrettante foto. Tra essi, con relativa foto, c’è quello di Altiero Spinelli e c’è anche quello di sua moglie, Ursula Hirschmann. Ma, negli altri sette riquadri, non c’è spazio né per il nome, né per la foto di Alcide De Gasperi, cancellato così d’autorità dal Pantheon de “I pionieri dell’Ue”! Questa “scandalosa” narrazione storica, circolando da quattro anni in tutta Europa (la Guida è datata 2021), sta così offrendo specialmente alle ignare nuove generazioni una storia falsata. “Scandalosa”, perché De Gasperi non ha solo teorizzato, come altri, la necessità della costruzione europea, ma con Adenauer e Schuman ha fatto molto di più, ha posto concretamente le fondamenta su cui essa si è potuta poi sviluppare (da presidente del Consiglio volle tenere per sé anche il ministero degli Esteri proprio per partecipare in modo pieno e diretto alla reale costruzione delle prime forme di integrazione comunitaria). Una considerazione infine, a proposito dei nobili teorizzatori dell’Unione europea: tra essi un posto di primaria importanza dovrebbe essere riconosciuto a Benedetto Croce che, in pieno fascismo, nove anni prima di Colorni, Rossi e Spinelli, nella sua “Storia d’Europa”, lanciò quest’appello per un’Europa unita e liberale, senza equivoci: “Già in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche); e a quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del Regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’esser loro anteriore, ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri s’innalzeranno a europei e i loro pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate già, ma meglio amate. Questo processo di Unione europea, che è direttamente opposto alle competizioni dei nazionalismi e sta contro di essi e un giorno potrà liberare l’Europa, tende a liberarla in pari tempo da tutta la psicologia che ai nazionalismi si congiunge e li sostiene e ingenera modi, abiti e azioni. E se tal cosa avverrà, o quando essa avverrà, l’ideale liberale sarà a pieno restaurato negli animi e ripiglierà il dominio. Ma non bisogna immaginare la restaurazione di quest’ideale come il ritorno alle condizioni di un tempo, come uno di quei ritorni al passato che il romanticismo sognò talora, riposandovisi in dolce idillio. Quanto è accaduto, quanto starà per accadere nel mezzo, non potrà essere accaduto invano; e taluni istituti dell’antico liberalismo saranno da modificare in maggiore o minor misura”. 
Ortensio Zecchino

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