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L'Europa è un'oasi democratica, un problema per Trump e Putin

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Anche se Antonio Di Pietro tenta in qualche modo di tirarsene fuori (e probabilmente in lui c’è più di un barlume di sincerità e buona fede), è difficile negare che Mani pulite rappresentò, fra l’altro, l’assurdo, irragionevole e a suo modo aberrante tentativo di purificare il “sistema Italia”. Ma, come scrive Philip Roth nel romanzo “La macchia umana”, “noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui. Nulla a che fare con la grazia o la salvezza o la redenzione. E’ in ognuno di noi. Insita. Inerente. Qualificante (…). Ecco perché ogni purificazione è uno scherzo. Uno scherzo crudele, se è per questo. La fantasia della purezza è terrificante. E’ folle. Cos’è questa brama di purificazione, se non l’aggiunta di nuove impurità?”. Ecco, se solo Roth avesse vergato quelle magnifiche pagine un po’ prima del Duemila, dando la possibilità al pool di Mani pulite di leggerle, forse ci saremmo risparmiati il loro inutile inseguimento di una chimerica palingenesi. 
Luca Rocca

Sul passato, nessuna discussione. Sul presente, molte discussioni. E vedere braccia rubate al giustizialismo è una goduria. Intervista sublime! E grazie.


Al direttore - Ha ragione il Foglio nel definire la posizione della Cina di Xi Jinping come quella di colui che, vista la bufera in questo caso dei dazi trumpiani, ora siede sulla riva e aspetta (Giulia Pompili). Si potrebbe dire che per l’Unione dovrebbe valere il noto adagio “etsi coactus, tamen volui”, benché costretto, tuttavia volli. I dazi impongono di fare ciò che comunque l’Europa avrebbe dovuto e dovrebbe fare: tra le diverse iniziative, aprire a nuovi mercati, applicare elasticità nella politica commerciale e nelle relazioni internazionali, avere una strategia per i rapporti con le istituzioni globali, a cominciare da quelle economiche e finanziarie. Insomma, cercare di dimostrare di essere adulta. In questo quadro, vanno riesaminati i rapporti con la Cina. Significa, ciò, distaccarsi dall’occidente o addirittura dalla Nato? Niente affatto. Significa, invece, tutelare i propri interessi e le prospettive attuando la stessa diversificazione delle strategie che praticano gli Stati Uniti. O, per tornare agli adagi, deve valere quello che dice “quod Jovi non bovi” nel quale l’Unione deve, a prescindere, essere il bue a fronte di Giove? Con i migliori saluti. 
Angelo De Mattia


Al direttore - C’è una scena memorabile in “Casablanca” (1942) che incarna valori occidentali oggi dimenticati: orgoglio, libertà e speranza. Oggi l’Europa si accorge di essere intrappolata in meccanismi più grandi di lei, in dinamiche diverse tra loro, ma accomunate da un tratto essenziale: contrastano apertamente il valore che ci definisce come europei e occidentali, ossia la libertà. E’ piena guerra mondiale. La Francia è occupata, il Marocco è una colonia sotto il controllo del governo di Vichy. A Casablanca, Rick (Humphrey Bogart), gestore di un locale rinomato, è costretto a scendere a patti con il suo passato. La scena in questione non riguarda lui, né la donna che ama (Ingrid Bergman), né il marito di lei (Paul Henreid). E’ una scena corale. In un angolo del locale, ufficiali nazisti bevono e, tronfi, intonano l’inno del Reich. All’improvviso, un uomo si oppone. Non si nasconde, li sfida apertamente e si rivolge all’orchestra: “Play the Marseillaise! Play it!”. La banda attacca. Un secondo uomo si alza, poi un terzo, un quarto, un quinto… In pochi istanti, l’intero locale è in piedi. Le voci si sollevano potenti, fiere. I nazisti passano dalla rabbia all’imbarazzo, schiacciati da quel coro trionfante: “Aux armes, citoyens! Formez vos bataillons! Marchons, marchons…”. Michael Curtiz, il regista, indugia sul volto di una giovane donna: ella non sta recitando, sta piangendo davvero. E’ Madeleine LeBeau, attrice francese fuggita negli Stati Uniti per sottrarsi all’occupazione nazista. Le sue lacrime sono il dolore della libertà calpestata e la speranza di un riscatto. E’ una scena di un film in bianco e nero – propagandistico – di 80 anni fa. Un’attrice francese, rifugiata negli Stati Uniti, canta la Marsigliese nell’ambientazione di “Casablanca”. Dovremmo sentirci distanti da tutto questo, eppure la scena è profondamente commovente, perché i valori in gioco sono proprio i nostri. L’Europa ha sempre esercitato fascino perché paladina della libertà. In questo valore ultimo risiedono il nostro orgoglio e la nostra speranza ma oggi, noi per primi, sembriamo averlo perso di vista. Tre anni fa, guardando questa scena per la prima volta, mi sono commosso profondamente. Ho provato un’emozione così intensa che la ricordo ancora oggi: per un istante (che si è impresso nel cuore), sono stato orgoglioso di essere umano, europeo, libero. 
Pietro Achille Risar

Non penso ci sia stato un momento migliore di questo per essere orgogliosi di tutto quello che l’Europa rappresenta, nel suo essere un’oasi di libertà, di rispetto della pluralità, di difesa della democrazia. E l’idea che possa esistere una realtà istituzionale che dimostra che la libertà possa essere organizzata senza autoritarismo è un problema sia per Trump sia per Putin.
 

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