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Trump, la Groenlandia e la Nato tra fantapolitica e Realpolitik

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “Non sono felice che la Russia stia bombardando da pazzi l’Ucraina”, ha detto Trump. Forse Mr. Wolf si è accorto che Putin lo ha preso per i fondelli.
Michele Magno



Al direttore - Vedo i sovranisti italiani, sul tema Putin e sul tema Trump, e mi chiedo quando riusciranno a capire che i problemi creati all’Europa da Putin e Trump dipendono da Putin e da Trump, non da chi si difende dalle loro pazzie.
Alberto Burtino

Il complottismo funziona così: cercare un capro espiatorio per raccontare il presente scaricando i problemi su soggetti inafferrabili da odiare. Così oggi: il guaio dei dazi è l’Ue non Trump. La colpa della guerra è l’Ue non Putin. Fuga dalla realtà. Avanti fino al prossimo palo.


Al direttore - Trump minaccia la Groenlandia che appartiene alla Danimarca, stato fondatore della Nato nel 1949. Se gli Usa dovessero usare la forza e la Danimarca chiedesse l’applicazione dell’articolo 5 del trattato, che cosa farebbe la Nato?
Giuliano Cazzola

In teoria, l’articolo 5 sarebbe invocabile da parte della Danimarca. Ma la Nato, ovviamente, è costruita attorno alla leadership degli Stati Uniti. E in astratto, se vogliamo giocare con la fantasia, speriamo solo con quella, dato che la Nato non è strutturata per affrontare una guerra interna, se Trump dovesse essere coerente con le sue promesse e volesse usare la forza arriverebbe a far diventare il famoso articolo 5 cartastraccia. Ma è solo fantapolitica. O no?



Al direttore - Ettore Prandini, grande capo di Coldiretti, suona l’allarme contro i dazi di Trump, con il cartello dello stand Coldiretti al Vinitaly “no dazi sul vino”. Tutti gli altri, a Verona, o quasi, sono allineati alla linea del governo: ottimismo! E’ questo, per quanto possa apparire, paradossale, il sentimento che si respira tra le migliaia di stand divisi per padiglioni regionali e i vari convegni in fiera. Come quello organizzato due giorni fa da Federvini, in cui sono stati presentati i dati sull’export del vino italiano in America in relazione a dazi e nuove tendenze. Per esempio il prosecco potrebbe subire un incremento di 0,90 euro al litro, mentre i vini rossi piemontesi e toscani vedrebbero aumenti rispettivamente di 2,60 e 2,40 euro al litro. Sempre meno comunque dei danni subiti dalla Francia che, nonostante rappresenti solo il 2,6 per cento della vendita in America (rispetto al 7,6 italiano), è il paese che subirebbe i danni maggiori. In molti poi hanno fiducia nel premier Meloni, che riuscirà a convincere il suo amico Trump nel trovare una mediazione. Niente panico dunque! Albiera Antinori è convinta che piuttosto che fare a meno del made in Italy gli americani sono disposti a pagarlo di più. E che alla lunga questo è un prodotto non sostituibile. Tra l’altro se la ragione dei dazi americani è spingere la produzione interna, sul vino questo discorso non regge. Per questo sono convinti che Trump presto capirà che l’unico che ci perde è il consumatore americano. Ben altri fattori invece mettono a rischio il vino italiano. I consumi giovanili stanno virando verso l’alcol free, con una crescita del 54 per cento negli Stati Uniti, e del vino dealcolato, in crescita del 23 per cento in Germania. Il 34 per cento dei giovani americani oggi preferisce questa tipologia, e simili tendenze si registrano nel Regno Unito, in Germania e Francia. In Italia, i giovani tra i 23 e i 34 anni rappresentano il 20 per cento del mercato del vino. Tuttavia, preferiscono cocktail (24 per cento) e spiriti lisci (24 per cento) rispetto a vino (13 per cento) e bollicine (16 per cento). Quasi il 70 per cento conosce i vini dealcolati e il 43 è pronto a consumarli. Alla fine della fiera la regola è chiara: la domanda conta più di ogni dirigismo e supera ogni limitazione al libero mercato.
Annarita Digiorgio

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