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Lettere
Pace giusta e duratura per l'Ucraina. Cosa c'è di più antifascista?
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Molti si chiedono se c’è un cambiamento di regime negli Stati Uniti. Se con questa espressione si intende la crisi o addirittura il crollo del suo sistema costituzionale, credo che siamo fuori strada. Tuttavia, prendiamo la questione dei dazi. L’articolo I (sezione 8) della Costituzione parla chiaro: solo il Congresso può deliberare in questo campo. Ma una legge del 1977 (firmata da Jimmy Carter) autorizza il presidente a imporre sanzioni negli scambi internazionali, ove si manifesti una minaccia straordinaria “alla sicurezza nazionale, alla politica estera o all’economia degli Stati Uniti”. Per attivarla, occorre una dichiarazione di “emergenza nazionale” (che va rinnovata ogni anno). E’ esattamente questa la legge invocata da Trump nel suo “ordine esecutivo” del 2 aprile scorso, quello appunto sulle tariffe doganali. Esso sostiene che lo stato del commercio mondiale, la mancanza di reciprocità nei rapporti bilaterali, le barriere doganali e non doganali praticate dagli altri paesi che penalizzano gli Usa, i persistenti deficit americani negli scambi di beni, hanno creato una “minaccia inusuale e straordinaria alla sicurezza nazionale e all’economia”. Stabilisce quindi che esiste una emergenza nazionale e usa i poteri eccezionali che così gli competono. Secondo il Brennan Center for Justice, un prestigioso istituto di tendenze progressiste della New York University, in realtà non c’è nessuna emergenza, nessuna minaccia all’economia nazionale. I poteri conferiti dalla legge sono destinati a sanzionare stati ostili, non il mondo intero, e i dazi neanche vi sono nominati. Inoltre, quei poteri servono per reagire con rapidità a una crisi improvvisa, non per affrontare problemi strutturali di lungo periodo. E’ vero, il Congresso potrebbe bloccarli con un suo atto. Per superare il veto presidenziale, dovrebbe però essere approvato dai due terzi dei membri di entrambe le Camere. Impresa impossibile con l’attuale Congresso. Da questa forzatura cruda e estrema dei poteri presidenziali si può concludere che l’America di Trump sta scivolando verso una sorta di neobonapartismo? Non saprei dire. Ricordo soltanto che studiosi del calibro di Tocqueville, Weber e Franz Neumann hanno osservato che forme di illiberalismo più o meno “mite” spesso nascono e si sviluppano in contesti democratici.
Michele Magno
Al direttore - In vista del 25 Aprile si sta insediando la commissione incaricata di sottoporre Giorgia Meloni al test dell’antifascismo, senza superare il quale continuerà a non esserle riconosciuta – “là dove si puote ciò che si vuole” – quella legittimità a governare che le ha affidato la maggioranza degli elettori. Magari sarebbe il caso ogni tanto di ricordare che nel mese di aprile – precisamente nel giorno 18 – ricorre un altro evento non meno importante che, nel 1948, ha liberato in via definitiva l’Italia.
Giuliano Cazzola
A proposito di antifascismo. Mi chiedo cosa ci sia di più antifascista, oggi, dell’essere contro Putin e dell’essere a difesa dell’Ucraina. Mi chiedo cosa ci sia di più antifascista, oggi, dell’essere contro la resa dell’Ucraina e a favore del rafforzamento della difesa europea contro le minacce russe. Mi chiedo cosa ci sia di più antifascista, oggi, di quella frase sussurrata due giorni fa da Meloni da Trump, a proposito di pace. “Also, on Ukraine, I will close. Together, we’ve been defending the freedom of Ukraine. Together, we can build a just and lasting peace”. Pace giusta e duratura. Chissà quando i follower dell’Anpi avranno il coraggio di ripetere quelle parole. Pace giusta e duratura. Niente pace quando c’è la resa. L’antifascismo vero oggi è tutto qui.
Al direttore - Di una cosa sono sicuro: la separazione delle carriere tra giudici e pm è solo un primo passo e spero che sia il punto di partenza di altre modifiche necessarie e improcrastinabili tra cui la responsabilità civile e i magistrati fuori ruolo al ministero della Giustizia, tra cui quelli all’Ispettorato. Mi fa piacere che l’onorevole di Forza Italia Enrico Costa abbia sollevato il problema degli ispettori magistrati segnalando l’evidente conflitto d’interesse. Il ministro Nordio, riguardo ai magistrati distaccati al ministero della Giustizia, ha giustificato tale applicazione con la gratuità della spesa. Una giustificazione risibile per quanto possa essere economicamente conveniente.
Filippo La Vecchia
Purtroppo, ieri Enrico Costa ha fatto sapere che il ministero della Giustizia ha detto no alla proposta di trasmettere al titolare dell’azione disciplinare dei magistrati le pratiche in cui lo stato risarcisce innocenti ingiustamente incarcerati. Sintesi di Costa: così paga solo lo stato, guai a toccare chi sbaglia, se è un magistrato. Difficile dargli torto.