Il tramonto della rivoluzione
Paolo Prodi
Il Mulino, 119 pp., 11 euro
Prima di ogni considerazione è utile dire cosa non è rivoluzione. Negli ultimi anni, con mezza umma in fiamme e presidenti più o meno dispotici rovesciati dalle piazze rabbiose, “rivoluzione” era parola che entrava – al pari di “primavera” – perfino nelle conversazioni serali, a cena. In realtà, spiega Prodi nella premessa al saggio, “tali fenomeni non solo non hanno niente a che fare con le rivoluzioni, ma ne sono spesso il contrario”. Illusione collettiva, dunque. Basterebbe, d’altronde, riprendere quanto scriveva Ivan Kratsev, che in poche righe aveva smontato per tempo quelle che l’autore definisce “le analisi boriose degli specialisti”. Osservava infatti Kratsev che “l’ondata di proteste non ha segnato il ritorno della rivoluzione: le proteste, come le elezioni, servono piuttosto a tenere il più lontano possibile la rivoluzione e le sue promesse di un futuro radicalmente diverso”. In sostanza, “il laureato senza futuro non è il nuovo proletario”, dal momento che – ieri come oggi – le rivoluzioni “necessitano di una ideologia”. Prodi passa in rassegna l’evoluzione, nel corso dei secoli, del concetto di rivoluzione, soffermandosi in particolare sul grande equivoco originatosi tra gli intellettuali europei del Ventesimo secolo. Tutta colpa dei totalitarismi, visto che la rivoluzione è stata interpretata solo come “lotta radicale alla società borghese, sia nelle avanguardie fasciste di destra sia negli schieramenti social-comunisti, con il supporto delle ideologie idealista o marxista oppure in dialettica con esse”.
Meglio è andata, come spesso accade, negli Stati Uniti, “soprattutto per merito dell’emigrazione intellettuale europea fuggita dagli orrori del nazismo”. Lì “si è sviluppata un’idea più complessa di rivoluzione”. In sostanza, “il mito della rivoluzione è finito”, e “l’innegabile declino dell’Europa” – è la convinzione dell’autore – non può “essere compreso soltanto sul piano geopolitico o geoeconomico, sulla base delle vecchie interpretazioni legate alla potenza militare o al pil”, ma “deve essere spiegato con il venir meno della capacità rivoluzionaria dell’Europa nelle sue coordinate antropologiche di fondo”. Chiosa finale sull’attualità, con l’occidente penetrato dalla secolarizzazione e le nuove minacce jihadiste. Le “religioni di Abramo devono misurarsi insieme anche nella loro complementarietà”, ma i discorsi che circolano “anche nelle elaborazioni dolciastre di una certa sociologia-filosofia resa liquida da un’etica impalpabile, discorsi basati unicamente sulla bellezza della convivenza”, non bastano di certo per “sconfiggere le radici del terrorismo”.
IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE
Paolo Prodi
Il Mulino, 119 pp., 11 euro