Il primo sguardo
Ermanno Olmi (con Marco Manzoni)
Bompiani, 186 pp., 12 euro
Un libro-intervista che inizia così: “Ermanno, tu sei considerato…”, desta legittimo sospetto. Se poi, oltre che grande regista, lo si accredita “una delle voci più autorevoli dell’epoca contemporanea”, lui che non ha mai voluto essere un maître à penser, il sospetto trova conferma. O meglio, trova conferma un mutamento cultural-mediatico che negli ultimi anni ha trasformato un grande regista cinematografico, che possiede il raro dono dell’occhio e dello sguardo in una sorta di santone nella catena ideologica moralista-benecomunista-ecologista. Una mutazione cui Olmi s’è del resto consegnato con mansuetudine. Così nell’intervista che costituisce la prima parte del libro si parte dal documentario “Terra Madre”, che Olmi ha dedicato ai contadini sostenuti nel mondo da Carlin Petrini, e da tutte le tematiche ambientali e persino spirituali che accomunano Olmi alla narrazione altermondialista, fino al documentario realizzato per Expo, “Il Pianeta che ci ospita”. La seconda e terza parte del volume sono un excursus sulla poetica di Olmi (il lavoro, il senso del tempo, la natura, la spiritualità) e sulla sua produzione, con un privilegio al documentarismo.
L’approccio tematico che Marco Manzoni dà al volume non toglie però luce ad alcuni spunti – tagli d’inquadratura, verrebbe da chiamarli – che Olmi sa cogliere e offrire. E che costituiscono il nucleo di una sessantennale carriera in cui, negli esiti migliori, il racconto si è sempre inchinato a uno sguardo, a un occhio sul reale capace di coglierne l’essenza: umanesimo o spiritualità, poco importa. A partire dalla frase che dà il titolo al libro, “io sono grato a quel primo sguardo che mio padre e mia madre si sono scambiati capendo, in quell’istante, che si stavano innamorando”. Lo sguardo, non il “punto di vista”, che nasconde sempre un po’ della presunzione dell’artista, è la cifra di Olmi. Soprattutto nei bellissimi primi documentari, quelli girati negli anni 50 per la EdisonVolta (documentazione dell’attività dell’azienda, ma percettibilmente già indagine umanistica sul lavoro umano), o esperimenti particolari come il “Dialogo tra un venditore d’almanacchi e un passeggere” (1954) che pur essendo una messa in scena da Leopardi è, a tutti gli effetti, uno sguardo su Milano. Con una capacità (rosselliniana o pasoliniana quanto si vuole, ma di pochi altri) di trarre il racconto dalle cose, dai volti, dagli occhi, che è la cifra delle sue opere “d’autore” più riuscite. Dallo splendido “I recuperanti” (1969) al sempre citato “Albero degli Zoccoli”. Dice Olmi che da un certo punto in poi “ho girato dei film che sono più delle icone che dei film realistici”. Ed è vero, dal “Mestiere delle armi” fino all’ultimo “Torneranno i prati”. Sempre con lo sguardo in bilico tra la realtà e la poesia.
IL PRIMO SGUARDO
Ermanno Olmi (con Marco Manzoni)
Bompiani, 186 pp., 12 euro