Quando siete felici, fateci caso
Minimum Fax, 110 pp., 13 euro
Perché Kurt Vonnegut, uno dei maggiori scrittori americani contemporanei, morto nel 2007 a ottantacinque anni, piaceva così tanto ai suoi lettori, soprattutto ai più giovani? Perché aveva un modo di parlare e di scrivere fatto di parole e di espressioni schiette che la gente pensava ma non diceva e perché aveva idee che esprimevano sensazioni intime che spingevano il lettore a guardare le cose da un’angolazione diversa. Non si rivolgeva mai ai suoi lettori dall’alto in basso, né cercava di sminuirli con la sua saggezza, ma era giocoso e profondo, “non gli parlava come se fossero una razza diversa e inferiore in quanto giovani, perché disdegnava le generalizzazioni generazionali”, ha spiegato nella prefazione a questo libro Dan Wakefield, giornalista e suo caro amico d’infanzia. Vonnegut tenne più di una volta un commencement speech, il discorso ufficiale ai laureandi che di solito tengono al termine dell’anno accademico personalità di spicco del mondo della cultura e della politica. Quelli di David Foster Wallace (“Questa è l’acqua”) e di George Saunders (“L’egoismo è inutile”) sono già leggenda, per non parlare poi di quello tenuto da Steve Jobs ai neolaureati di Stanford e alla sua frase (“Stay hungry, stay foolish”) che ha fatto storia. Qui troverete ben nove discorsi, tradotti da Martina Testa, che Vonnegut ha tenuto in alcune università americane tra il 1978 e il 2004, e per lui che non era laureato deve essere stato ancora più divertente. Per non parlare, poi, del fatto che divenne uno scrittore famoso a quarantasette anni e prima di arrivare a quell’età e a quel successo aveva fatto ogni sforzo possibile per mantenere sua moglie e i suoi tre figli, oltre agli altri tre della sorella morta di cancro a quarantun anni. A New York come in Georgia, in Texas come in Indiana, a Chicago come a Washington, non usò mezzi termini per dire quello che pensava, ricorrendo spesso a uno stile geniale e irriverente, più consolatorio che predicatorio. A quei fortunati studenti di allora e a noi lettori di oggi ha regalato e regala aforismi, ricordi, idee, aneddoti e riflessioni più che attuali. E gliene siamo grati. Amava provocare per far partecipare e soprattutto per far reagire. “Fate l’amore ogni volta che potete, perché vi fa bene”, diceva, ma soprattutto precisava sempre che per lui esisteva una sola regola: “Bisogna essere buoni, cazzo”. Credeva nell’importanza del servire la propria comunità, qualunque essa fosse, e sapeva che le droghe non facevano al suo caso: “Sono sempre stato un vigliacco in fatto di eroina, cocaina, lsd e compagnia bella: una canna me la sono fumata per non fare l’asociale, ma non ho sentito nessun particolare effetto, e quindi non ci ho riprovato”. Riteneva che le stagioni fossero sei e non quattro e, a ragione, che uno scrittore è un insegnante. Invitava sempre gli studenti a ricordare i migliori insegnanti avuti nella loro carriera scolastica: “La cosa più bella che si possa ricavare da un proprio percorso di studi è il ricordo di una persona davvero capace di insegnare, le cui lezioni hanno reso la vita e voi stessi molto più interessanti e ricchi di possibilità di quanto prima credevate possibile”. Li chiamava “generazione A” e non “generazione X”, li invitava a riconoscere i piccoli momenti di dolcezza della vita quotidiana e a disprezzare “quei politici che ci mandano in guerra restando al sicuro grazie alla loro età e alla loro posizione”.
Tra i suoi tanti consigli, quello di “prendere una parte del pianeta e metterla in ordine, rendendola sicura, sana di mente e onesta, perché c’è un sacco di pulizia e di ricostruzione da fare, materiale e spirituale”. Da mettere subito in pratica perché, così facendo, “ci sarà un sacco di felicità”. Almeno così si spera.
QUANDO SIETE FELICI, FATECI CASO
Kurt Vonnegut
Minimum Fax, 110 pp., 13 euro