Iuturnai sacrum
Arbor SapientiaE, 75 pp., 18 euro
Una fonte sacra nel cuore del Foro romano, rivoli d’acqua sorgiva ai piedi del Palatino, nei pressi della casa delle Vestali, con le caste sacerdotesse impegnate a raccogliere il prezioso liquido per usarlo nei riti della Res publica. La divinità della sorgente è Giuturna, una ninfa dal lunghissimo cursus honorum, legata ai prischi Latini e ai salvifici Dioscuri, i cavalieri armati di Roma. Venerata fin dall’età arcaica, titolare di una festa cittadina fissata all’11 di gennaio (Iuturnalia), dopo un paio di millenni Giuturna è tornata ad abitare il suo lacus, recentemente ripristinato dagli archeologi. Di lei si sa che mutò le proprie sembianze in forme equoree per sfuggire alle insidie erotiche di Giove (lo dice Ovidio, ma guai a fermarsi alla versione letterale!), dalla sua unione con Giano, dio dei primordi, nacque Fons, nume delle fonti. Nell’Eneide, Virgilio la fa sorella di Turno, capo dei Rutuli avversari dei Troiani: bella, onesta, collaborativa (il suo nome viene fatto risarire da Varrone al verbo iuvare), Giuturna soprintende all’acqua che rigenera e che nutre sgorgando dal basso. Introdotta a Roma da Lavinio, la sua acqua veniva usata per purificare gli altari e aspergere i sacerdoti. Alla sua fonte si abbeverarono i cavalli di Castore e Polluce – il cui tempio sarebbe poi stato costruito a ridosso del lacus Iuturnae – subito dopo la battaglia del lago Regillo (496 avanti l’èra volgare), annunciando così la vittoria dei legionari romani, guidati da Postumio Albino, contro la lega Latina associata ai Tarquinii esiliati. Lo stesso accadde nel 168 dell’èra volgare, quando Lucio Emilio Paolo sconfisse il re macedone Perseo a Pidna. Casualità? Ovvio che no. La ninfa appartiene al rango dei numi incaricati di proteggere fatalmente la salute pubblica dei Romani. Lo testimoniano i ricorrenti restauri del santuario per opera di consoli e dittatori, e l’accanimento distruttivo (come dimostrano gli studi di Giacomo Boni) con il quale i cristiani si avventarono sul luogo di culto in epoca tardo antica. Belle ed esplicite sono le monete della Gens Postumia che ritraggono i cavalli dioscurei con il muso proteso nel puteal di Giuturna, un pozzo che ci è giunto pressoché integro e con un’iscrizione del II-III secolo dettata dall’edile curule Marco Barbazio Pollione: Iuturnai sacrum rest(ituit). Dal santuario provengono anche due are marmoree. La prima raffigura Giuturna e suo fratello Turno; la seconda, di età adrianea e pertinente al tempio dei Castores, rappresenta i divini Gemelli, la loro sorella Elena nelle vesti di luce lunare, Giove e Leda. E’ un gran merito di García Barraco, e del suo piccolo prezioso editore, averci restituito il perenne incanto della ninfa in un agile volumetto.
IUTURNAI SACRUM
Maria Elisa García Barraco (a cura di)
Arbor SapientiaE, 75 pp., 18 euro