...Non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso Dante nei testi degli ultimi Pontefici
Vita e pensiero, 128 pp., 12 euro
Qualcuno potrebbe forse chiedere come mai la chiesa cattolica, per volontà e per opera del suo Capo visibile, si prenda così a cuore di celebrare la memoria del poeta fiorentino e di onorarlo. La risposta è facile e immediata: perché Dante Alighieri è nostro per un diritto speciale: nostro, cioè della religione cattolica, perché tutto spira amore a Cristo; nostro, perché amò molto la chiesa, di cui cantò gli onori; nostro, perché riconobbe e venerò nel romano Pontefice il Vicario di Cristo in terra”. L’8 dicembre 1965 Paolo VI avrebbe solennemente chiuso il Concilio Vaticano II. Ma il giorno prima, 7 dicembre e festa di sant’Ambrogio, da raffinato uomo di cultura e appassionato lettore di Dante trovò il tempo per pubblicare una lettera apostolica in forma di motu proprio intitolata Altissimi cantus e dedicata appunto, nel settimo centenario della nascita, “al signore dell’altissimo canto”, Dante Alighieri. Con lo scopo implicito di indicare alla chiesa, nel momento in cui massimamente si apriva al dialogo con la cultura del mondo, dove stesse l’esempio e il culmine di una cultura sostenuta dalla fede. Era stato Paolo VI, tra l’altro, a volere che fosse deposta per Dante una corona d’oro nel Battistero di San Giovanni a Firenze, e che alla cerimonia partecipassero in grande numero i Padri conciliari.
Montini amava e “pensava” con Dante, ma non è ovviamente l’unico, tra i Pontefici del Novecento, ad averne parlato e scritto. La rinascita dell’attenzione del magistero sul poeta data infatti proprio dall’inizio del secolo scorso, anche a fronte del tentativo di molti ambienti culturali non cattolici di fare del “ghibellino” una figura anticlericale, o di leggerlo addirittura in chiave paganeggiante. Nel 1921 Benedetto XV scrisse addirittura un’enciclica, “In praeclara summorum”, nel sesto centenario della morte, per ricordare a tutti gli istituti di cultura cattolica che “tra i grandi personaggi” della storia della chiesa Dante occupa un posto speciale, indicando la necessità di approfondirne l’opera. Ci sono poi i numerosi interventi danteschi, spesso d’occasione, di Giovanni Paolo II, tra cui un discorso al Centro dantesco di Ravenna dei frati minori conventuali, che da alcuni anni gestisce assieme all’Università Cattolica di Milano la Scuola estiva internazionale di studi danteschi. Benedetto XVI si ricordò dell’Amore “che move il sole e le altre stelle” parlando alla Specola Vaticana durante l’anno dell’Astronomia, legando esplicitamente i cieli di Dante alla ricerca culturale dell’uomo contemporaneo: “Alzare gli occhi al cielo per riscoprire il nostro posto nell’universo”. Ma certamente il contributo più corposo risiede nell’Altissimi cantus, poiché Montini fu cultore di Dante fin dalla sua giovinezza, come testimoniano le numerosissime citazioni dantesche che il professor Giuseppe Frasso, ordinario di Filologia italiana, ha rintracciato già a partire dai carteggi giovanili di Montini. A raccogliere i testi degli ultimi Pontefici, per l’editore dell’Università Cattolica, assieme a Frasso ha lavorato Michele Faldi, filologo per formazione ma ora responsabile della Direzione didattica dell’ateneo. Paolo VI sottolineava che “il fine della ‘Divina Commedia’ è anzitutto pratico ed è volto a trasformare e a convertire”. Dante insomma è al centro della missione storica della chiesa, e ne aveva piena consapevolezza. Così il motu proprio aveva anche uno scopo effettuale, chiedere all’Ateneo dei cattolici di istituire una cattedra di Filologia dantesca che, idealmente, divenisse cuore e fonte di ispirazione degli studi letterari. La cattedra venne istituita, seppure ora non è attiva. Ma l’interesse per il Poeta si riflette nell’attività della Scuola estiva internazionale.
... NON FA SCIENZA, SANZA LO RITENERE, AVERE INTESO DANTE NEI TESTI DEGLI ULTIMI PONTEFICI
Giuseppe Frasso, Michele Faldi (a cura di)
Vita e pensiero, 128 pp., 12 euro