Agendine. 1911-1929
Sellerio, 420 pp., 18 euro
Se si cercasse il cartiglio con il nome di Leonetta Pieraccini (1882-1977) su un albero genealogico, lo si troverebbe su un ramo maestro, nodo di convergenza gravido di futuro per una dinastia che ha lasciato più di un segno nella storia culturale del Novecento italiano. Leonetta era nata a Poggibonsi da una famiglia di possidenti. Socialista illuminato il padre, socialisti i fratelli: il più grande, Gaetano, fu sindaco di Firenze subito dopo la liberazione. Nel 1911 sposò il critico letterario Emilio Cecchi. La coppia si trasferì a Roma e, salvo gli anni della Prima guerra mondiale trascorsi a Firenze, a Roma abitò per tutta la vita: dal 1924 in un appartamento di corso d’Italia (le finestre affacciate su Villa Borghese) che fu teatro di intense frequentazioni. Un fiorire di nomi – da Cardarelli a Campana a Ungaretti, da Medardo Rosso a De Chirico, e ancora Benedetto Croce, Roberto Longhi, Grazia Deledda, Sibilla Aleramo, Giovanni Amendola fino, più tardi, ad Alberto Moravia – con cui i Cecchi condividevano cene, serate a teatro e pomeriggi al caffè, discussioni e pure qualche pettegolezzo. Una vita sociale quasi frenetica, e tuttavia di scarsissima mondanità, annotata da Leonetta Cecchi Pieraccini sulle pagine del suo diario, che era anche registro discreto di gioie e turbamenti famigliari: come quelli del 1912. Il 7 settembre: “A piazza Venezia lascio Emilio per fare una commissione in un negozio. Quando l’ho raggiunto egli era immerso nella lettura di alcuni foglietti azzurri finemente riempiti della scrittura di una mano di donna. Li ha subito nascosti in tasca. Io non ho domandato niente. Lui non ha detto niente, ma un certo imbarazzo è nato fra di noi”. E il 20 ottobre, fulminea: “La lettera d’amore, su teneri fogli celestini, di Grazia Deledda”. Lo stile attraverso un appunto. La Pieraccini, che era pittrice, quando scrive riesce a inquadrare la realtà con precisione e poche parole: nel giugno 1915, ricordando la sera della dichiarazione di guerra: “Le strade rigurgitavano di gente. Come in tutte le situazioni del genere, nell’eccitamento generale la minoranza dei fanatici fungeva da maggioranza…”. A volte non commenta, il fatto nudo parla da sé: il 27 dicembre 1923: “Aggressione di fascisti ad Amendola”, punto. Ma il suo spirito di osservazione e la sua arguzia ci consegnano soprattutto sapidi ritratti di alcuni protagonisti della cultura italiana dell’epoca. Così Dino Campana – “a cena da noi” il 3 dicembre 1916 – “poeta stravagante e lunatico, sceso dalla nativa Marradi a Firenze, come stazione più prossima, ma reduce da più lontane mète e da complicati vagabondaggi in compagnia di tribù di zingari, di saltimbanchi, di carbonai, di bossiaki russi, di gauchos argentini”. Croce, nel dicembre 1927, “invecchiato; più trasandato del solito, intristito”. Ungaretti, che esplode in trattoria nell’estate del ’23: “‘Mai è stata tanto ridicola l’Italia. Si fa ridere il mondo…’ ha preso a urlare. E ha proseguito proponendo di spaccar la testa a Mussolini”. O, sempre Ungaretti, che ritiene De Chirico “il più grande pittore del nostro tempo. ‘E Mancini?’ domanda uno dei presenti. ‘Mancini?’ esclama Ungaretti: ‘Ma quello fa la pittura con le merde dei piccioni…’”. La chiosa indiretta della Pieraccini è di qualche anno più tardi: “… il nostro ambiente di amici è veramente così. Basta che uno sia assente perché gli altri lo riducano a trippa da gatti. E Cardarelli è il maestro in questi massacri”. Leonetta Pieraccini ed Emilio Cecchi ebbero tre figli: la secondogenita, Giovanna detta Suso, diventerà la più importante sceneggiatrice del cinema italiano del Dopoguerra e sarà lei a restaurare i diari della madre. Il figlio di Suso, l’anglista e critico teatrale Masolino d’Amico, ha scritto l’introduzione di questa edizione. Isabella d’Amico, figlia di Masolino, l’ha curata. La bisnonna sarebbe contenta. Belle famiglie, quelle dei Pieraccini Cecchi d’Amico.
AGENDINE. 1911-1929
Leonetta Cecchi Pieraccini
Sellerio, 420 pp., 18 euro