Ultimi viaggi nell'Italia perduta
Bompiani, 190 pp., 13 euro
C’era una volta, fin quasi nell’Ottocento, il Grand Tour, il viaggio in un’Italia vista come culla della cultura classica che personaggi del calibro di Montaigne, De Brosses e Goethe compivano come apprendistato di educazione e formazione. Poi venne “Sulle rive dello Ionio” di George Gissing. L’inglese che nel 1897, per scoprire la Magna Grecia, decise di partire da Napoli per la Calabria proprio nella stagione peggiore: a novembre. Cioè nel mese in cui il paese del Sole appare battuto in permanenza dal vento e dalla pioggia, flagellato dalle zanzare e dalla malaria. Eppure, al contrario di tanti suoi predecessori incantati dal paesaggio e sprezzanti verso gli abitanti – la celebre immagine del “paradiso abitato da diavoli” – Gissing simpatizza costantemente per le genti del sud. Non si nasconde la miseria, la barbarie e la grettezza del paese che attraversa. “Non esiste una vita intellettuale, è molto scarsa anche quella che potremmo chiamare l’istruzione più rudimentale. Quelli che hanno delle ricchezze vi stanno ferocemente attaccati, e la massa non ha tempo né desiderio di occuparsi d’altro che dei mezzi di sussistenza; il che, per le masse, significa solo poter placare la fame”. Eppure è ammirato per la dignità e la gentilezza dei poveri calabresi, e teme una modernizzazione incipiente che gli sembra destinata a distruggere ogni bellezza e autenticità. Dopo aver spiegato in “Introduzione a me stesso” la difficoltà per uno scrittore napoletano “di essere considerato scrittore e basta”, Raffaele La Capria fa partire da Gissing una serie di nuovi “viaggi in Italia” di cui saranno protagonisti Norman Douglas, Giovanni Comisso, Giuseppe Ungaretti, Curzio Malaparte, Norman Lewis, John Horne Burns, Cesare Brandi.
A questo punto, il “Viaggio in Italia” finisce: per via “della distruzione metodica della bellezza in Italia negli ultimi quarant’anni, e della trasformazione di luoghi bellissimi in luoghi senz’anima che dell’antica bellezza conservano solo i nomi”. Anche se si tratta di nomi tra i più evocativi: Positano; la torre di Clavel; una costiera posta in emblematico contrappunto con il disincanto; Ischia; Procida; Capri; la Villa San Michele; e anche la casa di La Capria sotto il Solaro, con gli ultimi momenti capresi. Appartenente all’ultima generazione ancora in grado di conservare il ricordo dell’Italia perduta che quei viaggiatori descrissero e che oggi appare “come un Eden consentito all’uomo una volta sola”, La Capria deplora le conseguenze di un rapporto sbagliato fra tradizione e modernità, cultura e classe dirigente, “che ha dato origine a quell’ibrido per cui oggi un luogo non è quello che era né quello che vorrebbe essere”. Il ricordo, però, “è un momento creativo della memoria che invoca una possibile rigenerazione. E una possibile riparazione”. A differenza della maggior parte dei viaggiatori del Grand Tour che, nei loro resoconti del viaggio nell’Italia meridionale, ai commenti sulla bellezza paesaggistica aggiungono spesso giudizi negativi sugli abitanti, Gissing mostra invece costantemente simpatia per le genti del sud Italia, soprattutto per i più poveri calabresi di cui descrive con ammirazione la dignità e la gentilezza. Nel libro non mancano annotazioni sull’Italia meridionale post unitaria (l’evidente decadenza del sud in confronto agli splendori del passato; le vessazioni dello stato con i “dazi” e il “focatico”; l’arroganza delle classi dirigenti; la modernizzazione che avanza anche nell’Italia meridionale, di cui la ferrovia è il segno più vistoso.
ULTIMI VIAGGI NELL'ITALIA PERDUTA
Raffaele La Capria
Bompiani, 190 pp., 13 euro