Canale Mussolini. Parte seconda

Maurizio Stefanini
Antonio Pennacchi
Mondadori, 427 pp., 22 euro

    Cinque anni dopo il premio Strega di “Canale Mussolini”, arriva la seconda parte della grande saga famigliare sulle paludi pontine. Protagonisti sono i veneti Peruzzi: una schiatta di mezzadri il cui patriarca ha chiamato tutti i figli coi nomi di leader socialisti, ma che poi l’amicizia con i rivoluzionari Rossoni e Mussolini ha portato all’interventismo, e dopo ancora l’ostilità dei socialisti “ufficiali” e pacifisti ha sospinto verso il fascismo. Celebre (anche) per il romanesco aggressivo con cui s’esprime, Antonio Pennacchi scrive in un italiano al tempo stesso elegante e innervato di umori sanguigni derivanti dalla grande tradizione della lingua “parlata”. Certe verità ultime, però, le affida al veneto-pontino dei suoi avi, e cioè a un “impasto di rovigotto, ferrarese, trevigiano, friulano eccetera”– come spiegava sul finale del primo libro – “contaminato da influenze laziali e privo di strutturazione grammaticale fissa, con le vocali ora aperte ora chiuse e le desinenze che cambiano da podere a podere e da situazione a situazione, anche spesso nello stesso parlante”. In veneto-pontino sono espressi gli aforismi chiave delle due narrazioni. “Maladéti i Zorzi Vila”, era il leitmotiv della prima puntata. E l’anatema contro gli aristocratici latifondisti che – approfittando di Quota Novanta hanno privato la famiglia di terre e bestie, costringendola a cercare fortuna nelle “terre redente” – continua in qualche modo a esercitare il suo influsso anche nel seguito, fino al punto di rimettere assieme i tre Peruzzi che la Guerra intestina aveva sparpagliato in eserciti opposti: Paride nella Legione Tagliamento (Battaglione M e nella Decima Mas) ha dato la caccia ai partigiani; suo fratello Statilio, che dopo aver sconfitto l’8 settembre i tedeschi in Corsica con la Divisione Cremona ha risalito la penisola con il Corpo Italiano di Liberazione; il cugino Demostene, partigiano in Emilia e Veneto.
    Ma il leitmotiv della seconda puntata è soprattutto un altro: “Ognuno ga le so razon”. Le ragioni dei pontini che combattono con i tedeschi e dei partigiani che si vendicano. Di Togliatti e di De Gasperi. Dei dolenti fantasmi di Mussolini e della Petacci. Di Armida, che ha tradito la memoria del marito con il nipote e che parla con le api.  Di zio Adelchi, il vigile-sceriffo che per vigilare sulle ceneri di una Littoria piena di spettri e sciacalli spara addosso al nipote saccheggiatore Diomede. E dello stesso Diomede, che per svaligiare i soldi della Banca d’Italia tira allo zio una sassata. Di personaggi ce ne sono poi tanti altri: dal prete suo malgrado che alla fine del primo libro abbiamo scoperto essere il narratore, fino a un “Peruzzi negro”, figlio di un soldato americano che diventerà un famoso torero. Ma è soprattutto Diomede il deus ex machina dell’opera.
    Nato da padre ignoto, chiamato Batocio e Big Boss per una virilità esagerata che da ragazzino ne ha fatto oggetto di scherno (ma che tra i soldati afro-americani lo trasformerà in mito) sarà lui il grande protagonista della ricostruzione di Latina e del suo decollo industriale. Un successo che è un po’ la metafora del Boom italiano, e come il Boom italiano è ricco di lati oscuri. Muratore autodidatta, Diomede ha imparato i segreti del costruttore da un ufficialetto tedesco innamorato di lui, si è capitalizzato col saccheggio della Banca ed è decollato intrallazzando con gli Alleati. Ma quando i sindacalisti cercheranno di imbrigliare i suoi spiriti animali considerati ormai fuori del tempo, il risultato sarà dei più devastanti.  Anche lui aveva avuto le sue ragioni.

     

    CANALE MUSSOLINI. PARTE SECONDA
    Antonio Pennacchi
    Mondadori, 427 pp., 22 euro