La prigione della fede
Adelphi, 534 pp., 28 euro
Nel maggio 1975, in una strada di London, Ontario, Paul Haggis si imbatte in un attivista di Scientology. Ha poco più di trent’anni, un’esistenza disordinata e una vaga aspirazione a lavorare nel mondo dello spettacolo. La promessa che l’associazione fa – svelare finalmente in modo scientifico i misteri della persona, e in-segnare perciò agli adepti a prendere in mano la propria vita e a scoprire possibilità prima sconosciute – gli sembra una buona occasione per dare una svolta alla propria situazione. L’aria di mistero del gruppo e le critiche di cui è oggetto non fanno che accrescere in lui l’idea di partecipare a un’avventura elettrizzante; per di più “Scientology aveva messo radici a Hollywood, e Haggis aveva ottenuto i suoi primi ingaggi come sceneggiatore tramite le sue conoscenze in Scientology”. Comincia così per Haggis una vita nuova, che rapidamente lo porta verso il successo prima come autore televisivo e poi come sceneggiatore cinematografico, e man mano lo proietta verso i livelli più alti di quella che nel frattempo si è trasformata in una vera e propria chiesa, che include star del calibro di John Travolta, Chick Corea, Tom Cruise. E si accorge che “più diventava famoso, meno era probabile che lo rimproverassero per comportamenti considerati ‘fuori etica’ nel caso di altri membri”. Per chi sgarra, infatti, la vita diventa durissima: viene assegnato a programmi di “rieducazione”, obbligato a turni di lavoro pesantissimi in spazi ristretti e fatiscenti. Quasi tutti accettano la “condanna” senza batter ciglio: si riconoscono colpevoli di aver tradito la chiesa e meritevoli della propria condizione. Per chi si ribella e cerca di lasciare la setta, del resto, è l’inferno: pressioni, minacce a figli e parenti, ricatti, attacchi legali, ogni mezzo viene messo in atto per convincere il recalcitrante a rientrare. E quasi sempre con successo.
Il momento della verità per Haggis arriva nel 2008, quando lo stato della California approva la Proposizione 8, che vieta il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Lui ha due figlie lesbiche, ed è in prima fila nella lotta contro il provvedimento; Scientology ha un orientamento fortemente antiomosessuale e si schiera a favore della norma. Haggis cerca di far cambiar parere ai dirigenti della chiesa, ma si scontra con un muro di gomma; a questo punto comincia una sua personale indagine, e scopre le estorsioni, le minacce, le violenze psicologiche e anche fisiche che costellano la vita dell’associazione. Alla fine presenta le dimissioni. I suoi amici, o presunti tali, cominciano a voltargli le spalle. “Una volta chiesi a Haggis – conclude l’autore – come immaginasse il futuro del suo rapporto con Scientology. ‘Quella gente ha la memoria lunga’ mi disse. ‘Scommetto che entro due anni leggerà di qualche scandalo in cui sono coinvolto che apparentemente non avrà niente a che fare con la chiesa’. Rifletté un attimo, poi aggiunse: ‘Ho fatto parte di una setta per trentaquattro anni. Chiunque altro lo vedeva. Non so perché io non ci riuscissi’”.
Presentando la vicenda di Haggis, Lawrence Wright – giornalista del New Yorker, vincitore di un Pulitzer per “Le altissime torri”, inchiesta sugli attentatori dell’11 settembre – racconta la sto-ria di Scientology, del suo fondatore, dei successi della setta, delle sue lotte contro il fisco americano, del suo straordinario radicamento a Hollywood, delle persecuzioni contro i traditori che la lasciano. Scientology naturalmente nega tutto, ribattendo che i racconti di violenze sono calunnie di “apostati risentiti”, che se ne sono andati per bassi motivi. Ma al termine della lettura è netta l’impressione che Haggis e Lawrence dicano il vero.
LA PRIGIONE DELLA FEDE
Lawrence Wright
Adelphi, 534 pp., 28 euro