La provvidenza rossa

Maurizio Stefanini
Lodovico Festa
Sellerio, 530 pp., 15 euro

    E’ il 31 ottobre 1977, siamo a Milano, cinque mesi prima del rapimento di Aldo Moro. Sono gli Anni di piombo, da tempo il Pci – dopo le grandi avanzate elettorali del biennio rosso 1974-’76 – appoggia il monocolore democristiano di Giulio Andreotti con la formula della “non sfiducia”, e già un certo malumore della tradizionale base comunista si avverte nel tesseramento. Il segretario della federazione provinciale, Virgilio “Gillo” Pessina, sta controllando i dati della campagna di rinnovo delle tessere, quando arriva una telefonata. “Subito dietro corso Sempione, in via Procaccini, hanno sparato con un mitra a una fioraia. Saranno state le sette di stamattina. Si chiamava Bruna Calchi”. Nel chiosco, una copia dell’Unità. “Forse era iscritta al partito”. Più che iscritta, in realtà. La ventottenne fioraia col partito faceva infatti lucrosi affari, dalle mimose per l’8 marzo ai garofani rossi per il Primo maggio. In più, era una militante appassionata: dirigente della sezione e del circolo Arci, attiva tra gli esercenti, animatrice di proteste ambientaliste e anti-racket, attrice in una compagnia di filodrammatici che recita Brecht. Perfino nel nascente movimento gay vuole infilarsi, malgrado un innamorato fisso e molte frequentazioni maschili occasionali. In più c’è l’arma del delitto: una Maschinenpistole 40, riemersa chissà come dalla Seconda guerra mondiale. Quel mitra tedesco è forse un chiaro segnale in senso neofascista? Oppure, al contrario, si tratta di un’arma nascosta in un arsenale di partigiani rossi? L’ispettore Francesco Modena detto “Cicco”, cui è stata destinata l’indagine, è un giovane funzionario moderno e progressista, che subito cerca la collaborazione del Pci. Ma il partito non si fida troppo, e “per evitare eventuali provocazioni e trappole”, un’indagine parallela è affidata al vecchio partigiano Peppe Dondi, assistito dall’ingegner Mario Cavenaghi. Rispettivamente, presidente e vicepresidente della commissione probiviri regionali. La macchina del partito si muove con efficienza militare e nel clima della solidarietà nazionale perfino sacerdoti e notabili democristiani preferiscono aiutare i detective rossi piuttosto che quelli ufficiali, ma d’altra parte dietro alla facciata di sobrietà rivoluzionaria del partito della classe operaia saltano fuori altarini e miserie umane in quantità. Malgrado le pretese, anche i comunisti sono in fondo uomini come gli altri: con i difetti di tutti, cui si aggiungono gli ulteriori difetti di una forma mentis particolarmente machiavellica. Infatti l’obiettivo di Dondi e Cavenaghi non è quello di scoprire la verità per fare giustizia, ma per occultarla, e impedire un grave scandalo. Resta il “peso ingombrante di un passato così intenso che mi era difficile rimuovere”, scrive trentotto anni dopo Cavenaghi nel riscoprire gli appunti di quell’investigazione, raccontandone la storia. Che è sì immaginaria – come i suoi protagonisti – ma il contorno è esattamente quello del Partito comunista milanese degli anni Settanta come lo ha conosciuto Lodovico Festa. Tra i fondatori del Foglio – ma prima ancora, e per molti anni, dirigente di primo piano dei comunisti meneghini fino alla nascita del Pds. Nella nota finale, Festa confessa qualche anacronismo nei fatti di cronaca internazionale citati, e probabilmente il cultore “purista” di gialli troverà anche una certa disinvoltura rispetto alle regole del poliziesco canonico. Ma a chi lo interpella in merito, l’autore confessa il proprio debito rispetto al noir à la Chandler anziché verso i classici di Sherlock Holmes. Il volume, a ogni modo, offre uno spaccato di cronaca dell’epoca che meriterebbe d’essere approfondito anche dalla storiografia.


    LA PROVVIDENZA ROSSA
    Lodovico Festa
    Sellerio, 530 pp., 15 euro